ROMA – Vitalizi ai parlamentari condannati in via definitiva: non sono né pensioni né diritti e quindi non vanno più pagati . Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky ha serenamente perso la pazienza rispetto ai suoi stessi colleghi e, di fronte a chi ha sostenuto i vitalizi siano pensioni e quindi intoccabili, diritti e quindi acquisiti, oppure che ci voglia una legge ad hoc per revocarli, scrive su La Repubblica un secco “No al mercato dei pareri”.
Sul caso dei parlamentari decaduti dalla carica per reati gravi ma che continuano imperterriti a percepire la “pensione”, tra molte virgolette, non c’è solo lo sconcerto dell’opinione pubblica. I vitalizi, a dispetto delle rivendicazioni corporative degli onorevoli, non sono “pensioni”, e nemmeno diritti acquisti. E non è nemmeno vero che da solo il Parlamento non possa decidere di toglierli e che serva invece una legge, dal momento che ha il potere opposto di conferirli.
A rendere più complicata la verifica di appropriatezza e opportunità della loro elargizione ci si è messo anche il ricorso agli esperti del diritto (giuristi, avvocati, professori di diritto) che semmai hanno generato ancora più confusione.
E’ “il mercato dei pareri” segnalato da Gustavo Zagrebelsky che, su Repubblica, il famoso giurista ed ex presidente della Corte Costituzionale ammette essere stato un alibi generosamente fornito ai politici. Per non far vedere le cose come stanno.
Primo. I vitalizi non sono pensioni, perché il lavoro di parlamentare non è retribuito ma indennizzato. Quindi la retribuzione differita, cioè la pensione, non coincide affatto con il vitalizio.
Per i deputati e i senatori non si può parlare di “rapporto di servizio”. La loro attività come rappresentanti della Nazione non è in cambio di una “retribuzione”. È prevista una “indennità”, stabilita per legge (art. 69). Indennità e retribuzione sono cose diverse. Non ci si fa eleggere per guadagnarci qualcosa. (Gustavo Zagrebelsky).
Secondo. I vitalizi non sono diritti acquisiti. Ottenere una copertura previdenziale non è una ragione dell’impegno politico-parlamentare.
La revoca dei vitalizi in conseguenza di condanne sarebbe una sanzione penale e, come tale, non potrebbe avere valore retroattivo. Ma, è facile rispondere che si avrebbe retroattività se si imponesse – il che non è – la restituzione delle rate del vitalizio riscosso in passato. […] Non si tratta d’una “revoca”, ma d’una “cessazione” per il futuro d’un beneficio che non ha nulla in comune con una sanzione. […] I “diritti quesiti”. In sostanza: i parlamentari, quando hanno concorso per l’elezione, potevano fare affidamento su un particolarmente favorevole trattamento para-previdenziale. Perciò non lo potrebbe modificare in senso restrittivo. Ma, chi potrebbe sostenere, senza offendere l’onore dei nostri rappresentanti, che questa sia la ragione, o anche solo una ragione, dell’impegno politico parlamentare? E, se anche lo fosse per qualcuno particolarmente venale, dovrebbe essere protetta dal diritto? (Gustavo Zagrebelsky).
Terzo. Non è vero che per togliere i vitalizi serve una legge. Il Parlamento, da solo, se dà, può anche togliere.
L’abitudine invalsa, quando scoppia uno scandalo (sui partiti, sugli appalti, sulla televisione, sulla prescrizione, ora sui vitalizi) è invocare “subito una legge”: parole al vento. Si ricorrerà anche ora a questa formula dell’ipocrisia? Che sia necessaria una legge si potrebbe sostenere solo se la revoca del beneficio fosse – e non è una sanzione penale. Il vitalizio è un beneficio unilateralmente deciso da ognuno dei due rami del Parlamento. Oltretutto, la loro incompetenza a togliere proverebbe troppo. Sarebbe un argomento suicida. Togliere è l’altra faccia del dare. Se le Camere non potessero togliere, non avrebbero potuto nemmeno dare, e tutto il sistema degli attuali vitalizi crollerebbe, non solo per i parlamentari condannati, ma per tutti. (Gustavo Zagrebelsky).