SAN PIETRO, VATICANO – Papa Francesco esalta come un martire il “teologo della Liberazione”, l’arcivescovo Oscar Romero e attacca, implicitamente, i vescovi tradizionalisti che tanto filo da torcere gli hanno dato nel Sinodo appena concluso. “Il martirio di Romero non fu solo nel momento della sua morte, iniziò prima con le persecuzioni e continuò dopo: non bastava che fosse morto: fu diffamato, calunniato, infangato”.
L’occasione è l’incontro di Papa Bergoglio con i pellegrini del Salvador, che sono arrivati in Vaticano per ringraziare il Pontefice della beatificazione dell’arcivescovo ucciso sull’altare nel 1980 dai paramilitari fascisti degli squadroni della morte. Ma l’impressione è che questa dichiarazione molto “di sinistra” voglia riferirsi anche all’attualità.
Il martirio di Romero, ha ricordato papa Francesco, continuò anche dopo la sua morte per mano “dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Solo Dio sa delle storie delle persone che già hanno dato la vita, che sono morte e ancora sono lapidate con la pietra più dura che c’è nel mondo, la lingua”.
Una dichiarazione che si pone in netta controtendenza con Papa Wojtyla, che nel 1983 rampognò duramente – davanti alle telecamere – il frate Ernesto Cardenal, teologo della liberazione e ministro nel governo sandinista in Nicaragua. E nel 1986 andò in visita dal dittatore cileno Augusto Pinochet, che invece non risultava per nulla sgradito al papato di Giovanni Paolo II.