ROMA – “Un Papa ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”, aveva dichiarato due anni e mezzo fa l’uomo che dal 1° marzo tornerà a chiamarsi Joseph Ratzinger. Forse già allora papa Benedetto XVI pensava alla decisione clamorosa che avrebbe annunciato al mondo una mattina di febbraio del 2013. Una decisione che ha sorpreso tutti, compresa la giornalista dell’Ansa, Giovanna Chirri, la prima a dare al mondo la notizia con un “flash” d’agenzia delle 11.46. Era incredula, ha raccontato all’Huffington Post, quando, traducendo il discorso in latino che il Papa stava facendo in un lunedì di routine, ha colto le parole “incapacità” e “tristezza”.
Ora si apre per la Chiesa il Conclave più tosto della storia. I 117 cardinali elettori devono trovare un altro Papa entro la Pasqua, che quest’anno arriva presto, il 31 marzo. Serve una persona con un profilo diverso da quello di Benedetto XVI, uomo troppo “di pensiero” succeduto a un uomo troppo “d’azione” come Karol Wojtyla. Papa Giovanni Paolo II con i suoi eccessi e i suoi istrionismi aveva coperto i problemi, calamitando l’attenzione dei media e dei fedeli sulla sua figura. Ma aveva lasciato in eredità al suo successore tante questioni irrisolte e una Chiesa che dietro l’ecumenismo di facciata era molto più conservatrice di quella che aveva trovato nel 1978.
Dialogare con gli altri rami della cristianità, protestanti e ortodossi; e con le altre “religioni del libro”, ebraismo e islam. Riuscire a far contare il Vaticano in un mondo sempre più multipolare, dove l’Europa “pesa” sempre meno. Riuscire a farlo senza inciampare in una gestione troppo machiavellica del patrimonio e della finanza della Chiesa, in particolare dello Ior. Aprirsi alla modernità senza cambiare pelle e senza perdere fedeli. Vasto programma: ma è l’agenda minima del prossimo Pontefice.
Sulla cui identità si sono già fatte delle ipotesi. Le scelte potrebbero essere di due tipi: una svolta “obamiana” con la nomina di un papa nero (il cardinale nigeriano Francis Arinze o il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson). Sarebbe una dimostrazione di forza ma anche un’incognita, in una Chiesa dove italiani (30 cardinali elettori) ed europei (67 elettori) contano ancora tantissimo, a partire dai componenti del Conclave. La seconda scelta sarebbe un arroccamento sulle proprie posizioni con la nomina, dopo 35 anni, di un papa italiano (Angelo Scola o Gianfranco Ravasi). C’è una “terza via” fra rivoluzione e conservazione, ed è rappresentata dal “riformista” Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, o del franco-canadese Marc Ouellet.
Il tempo a disposizione da qui alla prossima fumata bianca è poco.
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