KIRUNA, SVEZIA – Tutti vogliono sedersi al Consiglio Artico, un forum internazionale ignorato dai più per anni, finché lo scioglimento dei ghiacci non ha iniziato a far emergere una nuova realtà, in una regione che fino a ieri aveva una geografia indefinita: trasporti marittimi, turismo, industria estrattiva.
Fra i Paesi e le organizzazioni che avevano chiesto di ottenere un ruolo di “osservatore” al “G8 del Polo Nord” (segui la diretta – guarda la gallery) a Kiruna (nord della Svezia), c’era l’Italia ma c’era soprattutto la Cina. Il crescente interesse di Pechino per il Polo Nord è solo una conferma del fatto che l’Artico sarà al centro nei prossimi decenni di un partita a scacchi geopolitica.
Partita che non riguarderà solo gli otto membri permanenti del Consiglio (Usa, Russia, Canada, Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda). Tuttavia è stato decisivo il loro (sofferto) assenso per ammettere al forum altri sei Paesi “osservatori”: la Cina, l’Italia, il Giappone, la Corea del Sud, l’India, Singapore, l’Unione Europea.
Del Consiglio facevano già parte sei Paesi “osservatori”: Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Polonia.
Nato nel 1996 come un organo per coordinare le politiche sull’Artico, per molti anni il Consiglio si è caratterizzato solo come una riunione dal carattere scientifico che aveva al centro la ricerca e le questioni ambientali.
Il riscaldamento globale ha cambiato anche la natura del Consiglio. Non più un incontro fra scienziati, ma un vertice fra nazioni che vogliono trovare un accordo su come sfruttare tutte le potenzialità economiche di un Polo sempre meno ghiacciato.
Un numero: 22%. È la percentuale mondiale di petrolio e gas naturale ancora non scoperto. Quel 22% – secondo stime del Geological Survey Usa – si nasconde sotto il Circolo polare artico.
Il Polo Nord è anche una zona di (troppi) confini che potrebbero innescare un risiko militare. Gli Stati Uniti stanno posizionando in Alaska sistemi antimissile, per proteggersi da eventuali attacchi della Corea del Nord; la Russia sta potenziando la sua flotta di sottomarini, posizionata in gran parte in un porto sull’Artico; il Canada vuole rafforzare la sua presenza militare nella vasta regione polare compresa nei suoi confini.
Il Canada – che è subentrato alla Svezia, presidente di turno dal 2011 al 2013 – presiederà il Consiglio nei prossimi due anni. Al termine del summit di Kiruna, oltre alla voto favorevole all’ammissione dei sei nuovi membri, è stato siglato un trattato su un sistema comune di prevenzione e intervento contro le fuoriuscite di petrolio.
La Cina, per entrare in questo club esclusivo del Polo Nord, è stato un corteggiatore aggressivo. Ha concluso accordi commerciali con l’Islanda e la Danimarca così vantaggiosi per i due Stati nordici da averli resi due convinti filo-cinesi. Sulle stesse posizioni, cioè per l’allargamento del Consiglio che includa anche Pechino, si sono allineati gli altri Paesi nordici: Svezia, Norvegia, Finlandia.
Neutrale la Russia, gli Stati Uniti hanno lasciato il Canada a farsi interprete dello scetticismo sull’ingresso dei cinesi nel consesso artico.
Il Canada ha sempre frenato sull’espansione del Consiglio, sostenendo che un aumento del numero dei membri potrebbe complicare i lavori del “G8 del Polo Nord”, concentrare di meno l’attenzioni sulle popolazioni “indigene” dell’Artico e portare l’agenda delle riunioni lontano dall’Artico reale.
Leona Aglukkaq, ministro della Agenzia per lo Sviluppo Economico del Nord canadese e presidente di turno del Consiglio, ha detto che l’ammissione di altri osservatori è un “problema serio”. “La mia preoccupazione – ha detto la Aglukkaq – è stata sempre il ruolo dei membri indigeni e il fatto che non sia diminuita la loro voce in capitolo”.
Che la questione non sia secondaria lo si capisce anche da chi è stato mandato a Kiruna per rappresentare i due Stati membri più potenti: per gli Usa il segretario di Stato John Kerry, per la Russia il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.