NEW YORK – In uno dei grandi classici della storiografia occidentale, l’inglese Edward Gibbon coniò quella che sarebbe divenuta una formula celebre: «Storia del declino e della caduta dell’impero romano». Era la fine del 700 e l’illuminista britannico poteva comparare la lenta agonia dell’antica Roma con la progressiva ascesa dell’Inghilterra che si apprestava a diventare nel secolo seguente la «superpotenza mondiale». Ma la ruota della fortuna e del tempo non smette mai di girare e, come si sa, l’impero inglese entrò anche lui in una fase di «declino e caduta» e nel corso del Novecento perse lentamente la posizione egemonica, a vantaggio di una nuova giovane potenza. Erano gli Stati Uniti.
La situazione attuale lascia pensare che ci troviamo nuovamente di fronte ad un «cambio di paradigma» politico. Negli Stati Uniti, l’uscita dalla crisi è tutt’altro che compiuta. Al contrario, gli ultimi dati economici invitano al pessimismo. Il paese potrebbe addentrarsi in una fase di cosiddetta «recessione double-dip», ovvero una recessione, seguita da una debole ripresa, seguita da una nuova recessione. La disoccupazione ha ormai raggiunto i livelli bui della crisi del 29. Sono 14 milioni gli americani che stanno cercando un lavoro e poco meno della metà sono disoccupati da più di sei mesi, una percentuale più elevata di quella della Grande Depressione. Il debito della nazione americana sta diventando un fardello insostenibile, con delle proporzioni simili a quelle della Grecia. Nonostante il dollaro sia la valuta di riserva mondiale (cioè la moneta con la quale si comprano i beni sul mercato globale), la valuta americana ha perso ormai la sua forza sull’economia. Un’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è recentemente permessa di annunciare previsioni di riabbassamento sulla valutazione del dollaro, segno dei tempi che cambiano. Solo qualche anno fa sarebbe stato l’equivalente di una bestemmia economica.
La conoscenza storica della lenta fine degli imperi romano e britannico suggerisce qualche paragone con l’attuale situazione americana. Come accadde allora, gli Stati Uniti vivono dei fenomeni che favoriscono la «marcescenza» del proprio tessuto politico e sociale: una forza militare sproporzionata, una forbice sempre più ampia tra i ricchi e i poveri, un’economia prosciugata, cittadini che vivono sopra i loro mezzi. Come suggerisce un’editorialista del Guardian, gli alti livelli di criminalità, l’epidemia di obesità, la dipendenza dalla pornografia e l’eccessivo uso delle proprie risorse ci dicono che gli Stati Uniti sono in uno stato di decadenza culturale. Come Atene ha ceduto a Sparta, come Cartagine ha ceduto a Roma e Roma ai barbari, come la Spagna del 600 ha ceduto all’Inghilterra, e così via, in un moto contino ed inesorabile, può darsi che oggi sia venuto il turno di Washington. A meno che gli Stati Uniti non si rialzino dalla crisi più forti di prima, proprio come successe dopo la Grande Depressione. Ma per ora non sembra facile.