ROMA – Kenneth P. Serbin, storico dell’Università di San Diego, ha dichiarato al New York Times: “Di tutte le chiese dell’America Latina, l’Argentina è quella dove i legami fra il clero e i militari erano più stretti”.
Non si può cambiare il passato, ma si può farlo dimenticare: è questa la sfida per il futuro di Papa Francesco. L’ultima settimana, un giudice che ha partecipato alle indagini sulla prigione clandestina nella Scuola di Meccanica della Marina (Esma) ha dichiarato che le inchieste non hanno scoperto prove a carico di Papa Francesco su un suo presunto coinvolgimento nel rapimento (da parte dei militari) dei gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics. “È del tutto falso affermare che Jorge Mario Bergoglio ha consegnato i due gesuiti ai militari”, ha detto il giudice Germán Castelli al quotidiano La Nación.
Ma i dubbi restano, a partire dalle testimonianze dirette dei due gesuiti, incluso un rapporto di padre Yorio ai suoi superiori della Compagnia di Gesù e un libro del 1994 di padre Jalics. Yorio scrisse che Padre Bergoglio, che all’epoca era il più importante gesuita argentino, aveva detto a Yorio e Jalics di essere dalla loro parte ma che in realtà aveva fatto loro terra bruciata intorno mandando ai vescovi rapporti negativi sui due gesuiti e accusandoli di andare nei quartieri poveri senza il suo permesso.
Ma c’è molta gente di sinistra in Argentina che ha difeso papa Francesco, sottolineando la sua apertura al dialogo e l’austerità dei suoi abiti. “È accusato di non aver fatto tutto quello che poteva fare, ma non è mai stato un alleato della dittatura”, ha detto il premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel. Da questo deve partire il nuovo pontefice: far dimenticare con l’immagine del “dottor Francesco” gli eventuali errori di “Mr Bergoglio”.