WASHINGTON – Era il 1983, quando il presidente americano Ronald Reagan lanciò un programma militare che fu ironicamente chiamato “Guerre Stellari”. Non esistevano, dissero allora gli scienziati, le conoscenze e le tecniche necessarie per portare a termine alcuni degli obbiettivi del progetto. Riuscire a costruire uno scudo globale – uno dei punti cardine del piano di Reagan – era non solo irrealizzabile, ma perfino non scientifico. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti e il progetto si trasformato, dapprima per lo svanire della minaccia sovietica, in seguito per i nuovi sviluppi scientifici e tecnologici. Questo non significa però che gli Stati Uniti siano rimasti i padroni dello spazio. Le pubblicazioni di alcuni dispacci di Wikileaks mostrano un confronto piuttosto teso con la Cina riguardo alla politica militare nello spazio extraterrestre.
La storia si ripete, sembrerebbe. Due potenze nucleari – una dell’Occidente, l’altra orientale – si disputano la supremazia a suon di armi sempre più tecnologiche e letali. Oggi si parla della capacità di distruggere, con dei potentissimi missili, i satelliti che orbitano intorno alla terra. Allo stato attuale, i soli due paesi ad avere questa tecnologia sono, appunto, la Cina e gli Stati Uniti. Il prezzo di questa acquisizione è stato una mancata crisi diplomatica, e forse di un’escalation militare. Durante i preparativi per i test cinesi, gli Stati Uniti sono arrivati a minacciare privatamente Pechino di ritorsioni militari se non avesse desistito dal programma. I Cinesi hanno nonostante ciò portato a termine i loro test, scatenando dure critiche da parte del Segretario di Stato americano, Hilary Clinton. Pechino ha giustificato il suo programma militare, ribattendo che gli Americani starebbero segretamente sviluppando un sistema laser “offensivo” in grado di distruggere missili prima ancora che lascino il territorio nemico.
Le “guerre stellari” cino-americane sono cominciate nel gennaio 2007 quando la Cina riuscì ad abbattere un proprio satellite distante più di 800 kilometri dalla terra. L’esplosione, che produsse migliaia di rottami tutt’ora orbitanti intorno alla terra, sollevò il timore per che la Cina avesse la tecnologia per distruggere i satelliti, civili o militari, statunitensi. Così, nel febbraio 2008, l’America effettuò con successo il suo proprio test, ufficialmente con lo scopo di distruggere un satellite mal funzionante. All’epoca Washington affermò che non si trattava di un test militare, ma semplicemente di un atto necessario.
I documenti segreti pubblicati grazie a Julian Assange provano il contrario. Un mese prima dell’esplosione, l’allora Segretaria di Stato, Condoleezza Rice, scrisse a Berlino una protesta diplomatica formale: « Un attacco cinese ad un satellite mediante un missile minaccia di distruggere il sistema spaziale. Ogni interferenza intenzionata con lo spazio degli Stati Uniti sarà considerata come un’infrazione dei diritti americani e considerata come un’escalation in una crisi o in un conflitto. Gli Stati Uniti si riservano il diritto, in conformità con la carta delle Nazioni Uniti e la legge internazionale, di difendere e proteggere il suo sistema spaziale con una vasta gamma di possibilità, diplomatiche e militari. » Altri documenti, inviati da Washington a Pechino, mostrano come il test anti-satellite che gli Stati Uniti lanciarono un anno dopo a quello cinese non era affatto una missione civile.