ROMA – Il licenziamento di Ettore Gotti Tedeschi dalla guida dello Ior “è il frutto marcio di uno scontro nei meandri più segreti e torbidi del potere finanziario d’Oltretevere”. Se a sostenerlo è il Corriere della Sera, se un suo editorialista è costretto, per un suo commento su un avvicendamento al vertice, ad attingere dal secchio del marciume e della torbidezza, è segno che siamo ancora ai “sotterranei del Vaticano”, alle segrete stanze del non dicibile, alla realtà che, a fronte di un anno di tentativi, relega il fondo sovrano del Papa nella grey list dei paesi a rischio riciclaggio facile, delle virtù finanziarie congelate perché nero non lo è più, ma immacolato nemmeno. Purgatorio fiscale. O comunque un luogo dove la trasparenza non è una virtù cardinale. Il Dipartimento di Stato americano ha definito il Vaticano come un paese “vulnerabile al riciclaggio di denaro”, come Yemen, Romania, Vietnam…
Orientarsi seguendo la lunga scia di veleni che hanno portato alla clamorosa defenestrazione non è semplice. Le dichiarazioni a caldo del presidente “scomunicato”, però, sono illuminanti: “Pago la difesa della legge anti-riciclaggio e la vicenda del San Raffaele”. In pratica, sostiene, non lo hanno fatto lavorare, c’erano troppe resistenze a fornire alle autorità anti-riciclaggio i conti cifrati e le delucidazioni del caso sui movimenti bancari prima dell’aprile 2011, prima di quando fu insediato alla guida dello Ior. Con il carico della riluttanza e della perplessità di Gotti ad appoggiare l’operazione salvataggio del disastrato ospedale San Raffaele. Salvataggio per cui si era speso in prima persona il cardinale Tarcisio Bertone. E il San Raffaele da Don Verzè è finito nelle mani del laico Giuseppe Rotelli. L’atto di sfiducia improvviso e senza motivi addotti per giustificarlo è stata letta come una vendetta proprio del cardinal Bertone.
Che a Gotti Tedeschi possa essere imputata anche la circostanza di aver fatto filtrare le lettere riservate dirette al Papa suona abbastanza inverosimile, non è lui il “corvo”. E’ un fatto, invece, che Gotti Tedeschi si oppose alla revisione e modifica della legge anti-riciclaggio di cui la Santa Sede si era dotata: un blitz a Natale aveva allentato le regole più stringenti adottate, d’altra parte in ballo c’erano la reputazione e la sovranità dello Stato.
In ogni caso, il “cahier de doleances” contro Gotti è ricchissimo. Sul Fatto Quotidiano, Stefano Feltri dà conto di un lungo elenco di “peccati”, veniali e capitali, per cui alla fine Gotti Tedeschi era destinato a capitolare. Quelli veniali attengono a una certa indelicatezza nel vantarsi di aver materialmente scritto l’enciclica di Ratzinger “Caritas in veritate” dedicata ai temi economici: lo fece per ordinaria vanagloria ma soprattutto per rimarcare che era stimato dal Papa in persona e la sua nomina allo Ior non la doveva certo al cardinal Bertone. Si è scontrato con Giovanni Bazoli di Intesa Sanpaolo per vecchie ruggini di quando perse la sedia nel cda di Intesa in procinto di fondersi, quando lavorava per il Banco Santander.
Ma c’è un’altra lettura, sempre interna ai corridoi vaticani, che demolisce la tesi di Gotti paladino della “glasnost” nello Ior. La sua, sarebbe stata una “trasparenza di facciata”, almeno a dar retta alle denunce del cardinale Attilio Nicara, presidente dell’Autorità Informazione Finanziaria (una sorta di Vigilanza), denunce rivelate da un dossier del Fatto Quotidiano. In sintesi, il presidente dello Ior predicava bene ma razzolava male: come mai, altrimenti, è stato indagato per una strana vicenda di bonifici milionari (2 per 23 milioni) destinati all’estero? Il fatto strano è che i bonifici erano del Credito Artigiano (20 mln. in favore di J. P. Morgan a Francoforte): il presidente del quale sedeva nel cda dello Ior , la banca è legatissima al Vaticano, ma la segnalazione delle irregolarità alla Banca d’Italia arrivò proprio dal Credito Artigiano.
Altra lettura, l’ennesima, riguarda i rapporti di forza dei movimenti della galassia cattolica. Opus Dei e Cl, di cui Gotti sarebbe referente, sono in declino. Quindi Gotti cede il passo, magari per far posto a qualcuno dei Focolarini, movimento dato in grande ascesa. Per il nome del successore alla guida dello Ior circola il nome di Antonio Marocco, notaio torinese da poco cooptato nel consiglio di sovrintendenza dello Ior. E’ accreditato come vicino al cardinal Bertone.