Per il secondo anno consecutivo nelle forze armate statunitensi il numero dei soldati che si sono suicidati è superiore a quelli morti in combattimento in Iraq e Afghanistan, a quanto informa il sito congress.org.
Le ragioni sono complesse e i conteggi incerti: ci si chiede per esempio se i reduci che si tolgono la vita dopo essere stati adeguatamente visitati devono essere inclusi. Ma non c’è dubbio che l’alto numero di suicidi è un’altra indicazione dello stress cui è sottoposto il personale militare dopo quasi dieci anni di guerra.
Secondo dati rilasciati dalle forze armate i suicidi sono aumentati in maniera allarmante nel 2010. Complessivamente, si sono tolti la vita 434 soldati in servizio attivo, molti di più dei 381 suicidi nel 2009.
Ma anche se i veterani della Ready Reserve sono esclusi dalle statistiche di suicidio, proprio tenendo conto della morte di riservisti che non sono stati inclusi in cifre della scorsa settimana, il numero dei suicidi l’anno scorso sale ad almeno 468.
Questo totale include alcuni riservisti dell’Air Force e dei Marines che si sono tolti la vita pur non essendo in servizio attivo, e supera così il dato dei 462 militari complessivamente uccisi in battaglia nel 2010.
I dati rilasciati dalle forze armate, d’altra parte, sottovalutano il problema dei militari suicidi perché i vari corpi d’armata non forniscono le statistiche uniformemente, ed alcune lo fanno solo riluttantemente.
Il deputato democratico Rush Holt ha dichiarato che un conteggio più preciso del numero dei suicidi tra il personale militare ed i reduci è necessario non tanto per informare i parlamentari e il pubblico sulle dimensioni del problema, che già conoscono, quanto per accertare fino a che punto i programmi per aiutare i militari in condizioni mentali problematiche stanno funzionando.
Holt ha aggiunto che a suo giudizio i militari di carriera e i cittadini-soldati non ricevono visite adatte ad accertare il loro stato mentale quando ritornano dalle zone di combattimento.