Zucconi: “Il mio 11 settembre, cavallo stanco di un’America sconfitta”

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 9 Settembre 2011 - 15:59| Aggiornato il 10 Settembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Quanto a perdita di credibilità, è stato fatto il massimo per capire cosa era veramente successo l’11 settembre?
«Ci sono tonnellate di inchieste. Per esempio quella ufficiale sul Pentagono è un gigantesco volume a disposizione di tutti che smantella ogni dubbio sul fatto che non fosse un aereo di linea. L’hanno praticamente ricostruito tutto pezzo per pezzo, quell’aereo. L’inchiesta sulle Torri Gemelle, quella sul famoso Wtc-7, l’edificio crollato ore dopo, è stata condotta dall’ordine nazionale degli ingegneri strutturalisti. Qui davvero nessuno crede al complotto, se non forse – reazione comprensibile – qualche parente delle vittime. Nessuno davvero crede che ci siano dei punti oscuri sulla meccanica degli attentati. Segnalo una cosa che ha colpito molte persone: “Meno di 72 ore dopo l’attentato già sapevano chi erano uno per uno i 19 terroristi”. Ma c’è un piccolo dettaglio: i 19 terroristi non avevano fatto niente per nascondersi. Avevano anzi quasi deliberatamente lasciato dietro delle tracce: avevano dato i loro nomi veri, avevano lasciato in giro i passaporti, erano passati sotto le telecamere di sicurezza. Quindi sembrò quasi che, come Pollicino, avessero voluto lasciare le briciole. Infatti li identificarono subito».

Quindi nessun dubbio, nessun punto oscuro?
«Ci sono dei dubbi, che non affronta nessuno: è su chi fossero quei 19 terroristi, da dove venissero e chi li controllasse. Se davvero fosse possibile che 19 dilettanti potessero pilotare quattro aerei con tanta precisione. Io vidi le rovine del Pentagono ancora fumanti, quando rientrai a Washington: è una zona che conosco bene, percorsa da strade, autostrade (quindi ci furono moltissimi testimoni oculari che videro il volo 77 dell’American Airlines a bassa quota). Non è mica una manovra facile. Non sono un pilota, ma portare un aereo di quelle dimensioni a velocità di crociera  a svolazzare intorno alle colline che ci sono intorno al Pentagono e a colpire un edificio che non è un grattacielo, ma è alto solo cinque piani… beh, richiede delle capacità che vanno oltre qualche ora passata con Microsoft Flight o qualche ora di lezione presa su un Piper monomotore in una scuola della Florida».

No, decisamente non roba da dilettanti.
«Poi erano quasi tutti sauditi, non c’era neanche un iracheno, né un afghano. Chi c’era dietro quella gente, c’era davvero soltanto Al Qaeda? Chi era Osama bin Laden? Lavorava da solo o per conto di qualcuno? E su questo punto, in America, sono tutti molto prudenti. Perché forse hanno paura. Ma non di trovare – lo dico chiaramente – le cazzate tipo l’esplosivo messo nelle Torri Gemelle o tipo il missile contro il Pentagono. Hanno paura di trovare dei mandanti che poi non possono affrontare. Che ruolo ha avuto il Pakistan in tutto questo? Perché poi l’abbiamo visto dov’era bin Laden: in Pakistan. Che ruolo ha avuto l’Arabia Saudita? Si dice da anni che ci siano in Arabia Saudita dei gruppi, parte dei servizi che in realtà fanno la guerra al regime. E quale modo migliore, che attaccare il principale alleato e puntello del regime saudita? Perché senza gli Stati Uniti nel 1991 forse Saddam Hussein sarebbe arrivato a Ryad, avrebbe preso tutta la penisola araba. È su questo che ci sono molte esitazioni ad andare a fondo. Su questo che ancora non abbiamo saputo tutta la verità: non su cosa fosse accaduto l’11 settembre, ma da dove venissero i terroristi e su cosa rappresentasse Al Qaeda e per chi lavorasse».

Domande alle quali l’uccisione di bin Laden non ha dato risposta?
«No. Anche se era una conclusione quasi inevitabile. Pensate cosa sarebbe successo con lui catturato vivo, con il processo. O con la reazione che il cadavere di bin Laden avrebbe provocato nel mondo: impensabile mostrarlo. La soluzione quindi era obbligata. Ma certamente lascia dei dubbi su di lui. E non sul fatto che Osama bin Laden non c’entrasse nulla con le Torri Gemelle. Lo ha detto: “È andata meglio di come pensassimo, io ero l’unico a essere così ottimista, a pensare che provocasse un guasto del genere, gli altri erano pessimisti” (pessimisti alla rovescia, ovviamente). Però Osama bin Laden era un regista o era una marionetta? Questa è una domanda alla quale avremmo risposta forse solo tra molti decenni. Ma la risposta non saranno certo le fregnacce dei complottisti che per ingenuità o per interesse hanno creato e alimentato l’industria multimediatica del complotto».

I complottisti non li può proprio vedere…
«Accetto tutto, ma i complottisti no. La vera ragione del complottismo non è il fatto che i governi ci mentano, quello lo sappiamo da sempre. È che noi non vogliamo rassegnarci, essendo un po’ tutti influenzati dalla cultura materialista, dal marxismo, dalle cause profonde, dalla spiegazione scientifica della Storia. Non vogliamo rassegnarci al fatto che la storia la possono riscrivere da una parte le idee, anche le più atroci ed esplosive, come quelle del fanatismo religioso, ma dall’altra anche un individuo o un piccolo gruppo. No, ci deve essere dietro una spiegazione molto più ampia, molto più complessa, più sinistra. La semplice spiegazione che questi 19 terroristi hanno concepito e realizzato gli attentati alle Torri Gemelle perché credevano, o gli avevano fatto credere, di reinstaurare l’Islam tradizionale, insidiato dall’infame materialismo delle minigonne e del secolarismo, non ci bastava. Ci doveva essere qualcosa di più. La cosa più terribile è scoprire che magari non c’è. In fondo è più rassicurante pensare che ci sia una longa manus, un complotto: che un gruppo di personaggi si riunisca una volta alla settimana a Wall Street e decida le sorti del mondo. Molte volte non è come nei film, la Spectre o Goldfinger non esistono, e questo ci dà molto fastidio».