Alberto Burri, “diluvio di norme e parole” per il centenario. Intanto il Cretto cade in rovina

Il Cretto di Gibellina
Il Cretto di Gibellina

ROMA – Alberto Burri è stato uno dei più grandi pittori italiani. Burri “può essere considerato, a giudizio di molti, d’importanza paragonabile ai grandissimi nomi della prima metà del secolo per la qualità delle opere, ma anche per la radicalità dell’innovazione”. Le sue opere sono esposte al museo Guggenheim di New York, al Centre Pompidou di Parigi, alla Tate Gallery di Londra. Una delle sue opere maggiori,  il Cretto di Gibellina, costruita dopo il terremoto del 1968 in Sicilia, è ormai abbandonata a se stessa.

Per celebrare il centenario dalla nascita di Burri, scrive Gian Antonio Stella sul Corriere, in Parlamento “è partito un tormentone per dedicare all’artista solenni celebrazioni”.

Punto primo, una proposta di legge con 75 parole in più della Dichiarazione d’indipendenza americana che dice che lo Stato «celebra la figura di Alberto Burri nella ricorrenza del centenario della sua nascita» e declama come col Burri «lo spazio diventa non più teatro della rappresentazione, ma suo protagonista assoluto, gravido di una drammatica profondità e percorso da tensioni e contrasti di forze» e istituisce il «Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Alberto Burri, di seguito denominato “comitato”» e specifica che questo «è composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede anche attraverso un suo delegato, dal ministro per i Beni e le attività culturali…» e che deve provvedere alla «individuazione, valutazione e approvazione delle iniziative, in Italia e all’estero, per le celebrazioni…» nonché alla «predisposizione del programma delle iniziative di cui alla lettera a), da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale» e bla, bla, bla, bla…

Ma questo è solo l’inizio. Presentata alla Camera il 26 marzo scorso, la leggina è stata assegnata alla commissione Cultura in giugno, ha visto la nomina di un «comitato ristretto» in luglio ed è stata infine inviata per un parere non a una ma a tre commissioni parlamentari e cioè la I (Affari costituzionali) e la V (Bilancio) di Montecitorio più la Bicamerale per gli affari regionali. Ogni commissione, a quel punto, ha discusso e infine nominato un relatore che in autunno ha letto ai colleghi una prolissa relazione sulla leggina preparata dagli uffici (in Bicamerale è toccato al professor Giampiero Dalla Zuanna, esterrefatto dal delirio procedurale) invitando a dare parere favorevole.
Finita? Magari! Uscita dalle commissioni, la leggina andrà in aula dove un nuovo relatore relazionerà sulla relazione, si valuterà se ci sono emendamenti (facciamo le corna…) dopo di che ogni gruppo dichiarerà il proprio voto fino alla votazione finale. Finita? Magari! La leggina andrà poi al Senato dove tutto si ripeterà pari pari sperando non ci siano ritocchi sennò tornerà tutto a Montecitorio. Finita? Magari! A quel punto la leggina passerà al vaglio della ragioneria dello Stato. Poi finirà sul tavolo di Giorgio Napolitano per la firma e la promulgazione. E infine, dopo l’impiego d’una folla di parlamentari, funzionari, commessi, sarà stampata sulla Gazzetta Ufficiale.
Nel frattempo, i cinesi avranno costruito cento nuove stazioni della metropolitana e cento chilometri di una nuova circonvallazione di Pechino e cento musei d’avanguardia dove accogliere, chissà, anche le opere di Alberto Burri.

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