ROMA – “Anche Napolitano boccia la spending di Cottarelli” scrive Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano:
Quanto resisterà ancora Carlo Cottarelli? Il commissario alla spending review si era insediato al ministero del Tesoro a fine ottobre, accolto come il salvatore della politica italiana. Cinque mesi dopo tutto è cambiato. Perfino il capo dello Stato Giorgio Napolitano avverte che bisogna smetterla con i “tagli immotivati” del passato, quelli lineari in percentuale, e fissare “un nuovo ordine di priorità”. Parole che in teoria sono un viatico a Cottarelli, visto il clima di questi giorni che suona più come un memento mori.
DELL’EX CAPO del dipartimento fiscale del Fondo monetario internazionale si sono un po ’ perse le tracce. Il premier Matteo Renzi – che è d’accordo con Napolitano, “condivido totalmente” – ha deciso di spostare il commissario dal ministero del Tesoro a Palazzo Chigi. In teoria per dargli copertura politica e quindi maggiore forza, in realtà per controllarlo ed evitare che si rafforzi l’immagine di un Tesoro unica opposizione all’esecutivo. A Palazzo Chigi non si sa ancora quali uffici avrà Cottarelli e neppure se avrà un suo staff per la comunicazione, tipo quello che lo ha supportato al ministero costruendo un’imponente sequenza di interviste e apparizioni tv, utili per costruire l’effimero mito del commissario. Fin dalla campagna per le primarie Pd, Renzi ha fatto capire di non apprezzare la scelta di un commissario per rivedere la spesa pubblica: se ci sono da decidere oltre 32 miliardi di euro di tagli strutturali in tre anni, lo deve fare la politica, non un tecnico.
L’ 11 marzo, Cottarelli ha trasmesso le sue slide al comitato interministeriale che dovrebbe trasformare le indicazioni in provvedimenti di legge. Da quel giorno il declino di Cottarelli è diventato più rapido. Una nota della Camera dei deputati, per esempio, sostiene che i numeri relativi a Montecitorio sono sbagliati, i costi più bassi di quanto indicato da Cottarelli. Ma queste sono minuzie: il premier Renzi prima ha promesso risparmi da 7 miliardi (possibili solo se le misure fossero state adottate a gennaio, se arrivano a giugno ci si ferma a 3-4) poi ha escluso il taglio alle pensioni che il commissario suggeriva per trovare circa 4 miliardi. Il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia è disposta a ridurre il numero di statali di 85 mila unità, ma solo per sostituire dipendenti a fine carriera con altri più giovani, stabilizzando precari. E così i risparmi diventano minimi. Dal ministero dell’Interno e da quello della Difesa è già arrivato il segnale: guai a tagliare gli organici e servizi. Gli unici provvedimenti che Renzi sembra disposto ad adottare sono quelli che garantiscono consenso immediato, a due mesi dalle elezioni europee: la riduzione delle auto blu, una sforbiciata agli stipendi dei manager pubblici (vedi il caso di Mauro Moretti, il capo delle Ferrovie dello Stato). Ma valgono cifre quasi simboliche, meno di un miliardo. I risparmi veri si ottengono con misure impopolari che il premier non ha fretta di adottare. IL SEGNO della difficoltà di Cottarelli è l’assenza di interviste: neppure una da quando ha trasmesso il suo lavoro al governo, mentre quando aveva iniziato la sua attività convocava i giornali cinque alla volta per lunghe sedute individuali con ciascun cronista. Ora silenzio. Le sue uniche parole le registra il Tempo, quotidiano che ha in corso una campagna sui redditi e i patrimoni di Cottarelli: dallo Stato riceve 12 mila euro, a questi somma la pensione dal Fondo monetario. Il commissario sperava di aver superato le polemiche sui compensi, appena accennate al suo arrivo. Ora invece ricomincia da lì, dal suo stipendio. Che, a questo punto, qualcuno più in alto a Palazzo Chigi potrebbe decidere di tagliare. Senza troppi rimpianti.