Antonio Saitta a La Stampa: “Ma che svuota Province. Le spese raddoppieranno…”

Antonio Saitta a La Stampa: "Ma che svuota Province. Le spese raddoppieranno..."
Antonio Saitta (LaPresse)

ROMA – “Questo Governo è prigioniero di un annuncio. Sa cosa rispondeva Delrio alle nostre obiezioni? “Lo vuole Letta”. Le rare volte in cui abbiamo incontrato Letta, ci ha risposto: “Si deve fare”.

Questo è stato il livello del confronto”. Antonio Saitta, ex-democristiano in quota Pd, presidente della Provincia di Torino e dell’Unione delle Province Italiane, valuta quali mine innescare per far saltare all’ultima curva il disegno di legge “svuota Province“.

Letta sta infatti eseguendo, nei limiti del possibile, le indicazioni della lettera della Bce dell’estate 2011 la cui non osservanza costò il posto a Berlusconi.

La beffa è che, due anni dopo, Renato Brunetta rivelò che quella stessa lettera fu in realtà scritta proprio da lui, per conto di Berlusconi e copiata su carta intestata della Bce e firmata da Trichet e Draghi.

Berlusconi voleva fare ingoiare a Umberto Bossi la riforma delle pensioni, che poi fu fatta invece dal successore Mario Monti accoppiato con Elsa Fornero, e per buon peso ci mise il taglio delle province, invece di quello delle intoccabili regioni, specie a statuto speciale.

Oggi tutto torna e a pagare, alla fine, siamo sempre noi con la tasca e con i disservizi.

L’intervista a Antonio Saitta de La Stampa a cura di Alessandro Mondo:

Pentito di avere ingaggiato questa battaglia?

«La battaglia continua al Senato, dove spiegheremo il danno prodotto da una riforma che somiglia a un cruciverba: invece di semplificare i problemi, li moltiplica. E in Europa, dove le nostre obiezioni sono condivise. Io l’ho fatta perché credo innanzitutto nella ragione, consapevole che da parte della classe dirigente nazionale avrebbe prevalso la demagogia».

In che senso?

«L’obiettivo è offrire un capro espiatorio all’opinione pubblica per nascondere l’incapacità di risolvere i problemi reali del Paese».

Eppure si dibatte da almeno un decennio su questo tema.

«Ma non è vero che per i cittadini sia una priorità. Mi riferisco a un sondaggio prodotto da Mannheimer, è di una settimana fa: otto italiani su dieci giudicano prioritaria la riduzione del numero e delle indennità dei parlamentari, sette su dieci il taglio del numero e delle indennità dei consiglieri regionali, 6 su dieci la riduzione degli stipendi dei manager delle aziende statali, 5 su 10 il taglio delle società statali e parastatali. Solo il 15% considera prioritario riformare le Province. Allora chi lo vuole?» (…)

Quale sarebbe, di preciso, il nemico?

«Quella del Governo è una resa di fronte alla grande burocrazia statale, pronta a riformare tutto pur di non riformare sè stessa. Dei 28 Stati europei, 19 hanno le Province: qualcuno deve spiegarmi perché solo in Italia sono considerate un’inutile fonte di sprechi».

Eppure alla Camera è andata com’è andata…

«Molti parlamentari non erano d’accordo, ma il Governo ha imposto di votare in un certo modo. I parlamentari non sono eletti, ma designati: rispondono a chi li ha designati. E qui torniamo alla riforma, palesemente incostituzionale».

Perché?

«Perché riduce le funzioni di enti previsti dalla Costituzione e, abolendo l’elezione diretta, impedisce ai cittadini di scegliere i propri amministratori. Sono certo che interverrà la Consulta. E poi l’Europa: l’Italia ha firmato la Carta europea delle Autonomie, prevede l’esistenza degli enti locali e l’elezione diretta».

Il Governo pensa di risparmiare risorse preziose.

«Un’altra bufala. Le Province, con i loro 60 mila dipendenti, costano 10 miliardi l’anno. Spostando le funzioni, e polverizzandole, le spese raddoppieranno a scapito dei servizi per i cittadini».

L’alternativa è lo status quo?

«È il dimezzamento delle Province, che ci vede favorevoli, unito all’accorpamento degli uffici periferici dello Stato. Di quelli non parla nessuno» (…)

 

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