ROMA – Mercoledì 20 novembre la Commissione Ue ha inviato all’Italia un altro altolà sulla perdurante discriminazione degli insegnanti e del personale precario della scuola pubblica sul fronte del mancato adeguamento dello stipendio al personale di ruolo.
Secondo la Commissione Ue, che da tempo ha avviato contro l’Italia una procedura d’infrazione, lo Stato deve assicurare stipendi uguali ai supplenti. E, nel contempo, “dare più certezze visto che svolgono lo stesso lavoro ma hanno un contratto diverso che li lascia precari anche dopo tanti anni di lavoro continuativo”.
Scrive Libero:
(…) Circa 300mila maestri che anno dopo anno vengono rinnovati, ma che in busta paga vengono trattati come dipendenti di “serie b”. Da anni i docenti a contratto incassano meno dei colleghi a tempo indeterminato (…)
Il problema è che sta avanzando la procedura d’infrazione già aperta in sede europea e ora l’Italia ha appena 60 giorni per rispondere alle osservazioni altrimenti la Commissione la porterà alla Corte Ue per la messa in mora. Insomma, per la Commissione, la situazione dei precari è «contraria alla direttiva sul lavoro a tempo determinato». Ma non basta. Infatti qualche giorno fa – ha scoperto il sindacato Anief Confedir – la presidenza del Consiglio è stata condannata (in primo grado), per un altro tipo di discriminazione tra i dipendenti assunti prima del maggio 2000 e quelli che avevano già un posto.
In sostanza ai “neo assunti” veniva imposto un prelievo del 2,5% sul salario (per garantire il trattamento di fine rapporto, Tfr, che nel privato è a carico esclusivamente del datore), visto che lo stesso contributo era chiesto ai “vecchi” per il Trattamento di fine servizio. Prelievo che finiva nelle casse Inps (o Inpdap).
Discriminazione e prelievo immotivato contestato ora dal Tribunale del lavoro di Roma. Il problema è che se questa sentenza venisse confermata, aprirebbe nei conti di Letta un buco di 5 miliardi di euro (stima prudente), proprio per restituire ad una platea potenziale di 500mila dipendenti il prelievo iniquo degli ultimi 69mesi. Come se non bastasse la spada di Damocle di centinaia di migliaia di ricorsi, Palazzo Chigi – per il ricorso vinto giorni addietro – è stato anche condannato a pagare 10mila euro di spese legali. Con l’incubo di dover restituire il 2,5% delle trattenute indebite degli ultimi 5 anni, a oltre mezzo milione di travet. Più gli interessi, più le spese legali. Un disastro.