ROMA – “Beppe Grillo ha vinto troppo nel febbraio 2013″: si è montato la testa, ha sbagliato i calcoli e rifiutando l’aiuto a Pierluigi Bersani, paradossalmente ha dato la spinta decisiva a Matteo Renzi, che per il Movimento 5 stelle rappresenta una minaccia molto più forte del Pd gargamella di Pierluigi Bersani.
Secondo Elisabetta Gualmini, che ne scrive sulla Stampa di Torino, sono tre i problemi irrisolti di Beppe Grillo e dei suoi grillini. Esaltato dalla vittoria del febbraio 2013 e convinto che la sua era ormai una marcia in discesa, Beppe Grillo
“ha spazzato via qualsiasi possibilità di un traballante governo a guida Bersani e ha dato il calcio di inizio allo smottamento interno della nomenclatura Pd aprendo un’autostrada a Renzi. Con Bersani barcollante a Palazzo Chigi avrebbe potuto continuare la sua esuberante cavalcata alla testa del popolo indignato.
Invece, togliendo ogni speranza al premier in pectore del Pd ha aperto la porta a Renzi. Un osso un po’ più duro che è stato in grado di fronteggiarlo ad armi pari. Gli ha letteralmente tolto il terreno da sotto i piedi rincorrendolo su giovanilismo e inesperienza, indossando gli stessi panni del guerriero solo contro tutti e maneggiando con destrezza le stesse (brutali) sciabole verbali. Alla fine lo ha messo ko. È il paradosso a 5 stelle: Beppe ha generato gli anticorpi contro se stesso. Ha creato la sua nemesi. E ora, come esce dall’angolo in cui è stato a sua volta cacciato?
Intanto si torna in piazza. Da dove si era partiti. Si ricomincia dall’appello al popolo o a quel che ne rimane. Tra l’inno di Fedez, il rap di Rodotà e la musica di Dj Ferry, artisti «con la schiena dritta» (eh?).A quasi due anni dall’entrata in Parlamento, il movimento-partito si trova a un bivio e deve fare i conti con almeno tre grandi problemi, ancora non risolti:
1. l’organizzazione,
2. le leadership intermedie,
3. le alleanze sui programmi.
O il Movimento si decide ad affrontarli ora, o diventa troppo tardi.
1. L’organizzazione. I rapporti tra gli eletti e tra eletti ed elettori sono ancora modellati da improvvisazione e pura casualità. Non si capisce quali siano i ruoli, chi deve fare cosa e quale sia la divisione del lavoro. La frenetica rotazione dei capigruppo e dei portavoce, la sostituzione continua dei responsabili della comunicazione, l’individuazione dei partecipanti al «dialogo» con il Pd e tanti altri episodi ci dicono che il partito di Grillo non è ancora in grado di darsi una struttura e regole condivise. Senza le que quali è difficile durare a lungo.2. Le leadership intermedie. Grillo rimane il capo. Col comizio-blues al Circo Massimo ce lo ha fatto capire di nuovo. Altro che garante, la faccia e la testa del Movimento è sempre lui. È lui che controlla chi entra e chi esce per evitare che il «Movimento si disintegri dal basso», è lui che va al pub con Farage, che muove i fili dei referendum virtuali e le votazioni online scaraventando l’ultimo dei cittadini nell’Eden glorioso degli eleggibili.
Difficile che Di Maio, il preferito tra i colonnelli, possa prendere il posto di un simile istrione megagalattico.3. Alleanze sì alleanze no. Sui temi in discussione in Parlamento il Movimento 5 Stelle oscilla tra tardive prove di dialogo col Pd (legge elettorale) e ostruzionismo duro e puro (con risse, lanci di libri e monetine). Anche qui, manca completamente una linea chiara e soprattutto univoca. Beppe Grillo ripete di non avere fiducia in nessuno e che la loro avanzata nel deserto verso la vittoria è solo posticipata. Ma la strategia per arrivarci rimane oscura”.
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