ROMA – Il Cnel, Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro, si ritiene al di sopra delle regole che limitano gli sprechi in tutti gli altri apparati o organi dello Stato.
Quindi nessuno può mettere becco sui generosi contratti di ricerca e sulle generose consulenze (4 milioni e 530 mila euro dal 2008 al 2013) o sui generosi rimborsi spese per viaggi in Italia e all’estero (quasi 1 milione e 100 mila euro) e per quelli che fra i 65 consiglieri abitano fuori Roma (600 mila euro di rimborso annuo a consigliere).
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera raccontano l’ostinazione con il quale quello che “viene additato da molti, a torto o a ragione, come il più superfluo degli organi costituzionali” ribadisce il suo status privilegiato:
“«Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». «Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». «Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». Per 19 volte il Cnel ha insistito nella sua pretesa di essere al di sopra delle leggi sulla distribuzione di incarichi e consulenze. Battendo il record assoluto nella richiesta di pareri.
Lo ha fatto con l’Avvocatura dello Stato, la Corte dei conti, la Ragioneria generale dello Stato, eminenti costituzionalisti, il Consiglio di Stato e l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. E per 19 volte tutti gli hanno dato torto: record bis.
Compresa l’ultima, quando il presidente (del Cnel, ndr) Antonio Marzano è arrivato a proporre agli avvocati dello Stato addirittura un ricorso alla Consulta, sostenendo per l’ennesima volta che per il Cnel il rispetto delle regole sui contratti pubblici “appare incompatibile con l’espletamento delle funzioni istituzionali che la Costituzione intesta a questo Consiglio e pertanto le stesse disposizioni di legge appaiono lesive della sfera di autonomia di cui questo Organo deve necessariamente disporre”. Nientemeno…
I vertici del Cnel stanno sulle spine. C’è un’inchiesta della Corte dei conti sul modo piuttosto singolare con il quale sono state fatte certe spese […] Oggetto dell’indagine del procuratore della Corte dei conti Angelo Raffaele De Dominicis: «Vertenza 2011-01138 – Sprechi plurimi». Due parole che dicono tutto. Obiettivo, verificare la fondatezza di tre accuse: incarichi di consulenza «illegittimamente conferiti», contratti di ricerca «illegittimamente stipulati», nonché oneri di missione «illegittimamente liquidati»”.
Scrivono Rizzo e Stella che dal 2007, da quando gli sprechi della politica hanno occupato il centro del dibattito pubblico, il Senato ha sforbiciato leggermente le sue spese (da 503 a 494 milioni nel 2014), così la Camera (da 962 a 943 milioni). Mentre il Quirinale ha mantenuto stabili le sue spese.
Ma al Cnel l’eco di quelle polemiche sugli sprechi evidentemente non è arrivata: nel 2006 lo Stato sganciava 15 milioni. Nel 2013 le casse pubbliche hanno sborsato 19.370.333 euro per il Consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro.
Negli ultimi cinque anni il Cnel ha elargito:
104 consulenze, per un totale di 2.262.000 euro
54 contratti di ricerca, per 2.271.000 euro
964.000 euro di rimborsi spese per missioni all’estero
108.000 euro di rimborsi spese per viaggi in Italia
3.282.000 euro a quelli fra i 65 consiglieri che risiedono fuori Roma e che devono presentarsi una volta al mese nella Capitale per le riunioni.
Consiglio Nazionale… Elargizioni Larghe? Impietosa è la “biografia” che ne fanno Rizzo e Stella:
“Nato nel 1958 per favorire il dialogo fra le cosiddette «parti sociali», è dagli anni Settanta che non serve più a quello. Pian piano si è trasformato in un parcheggio di sindacalisti, funzionari delle organizzazioni datoriali e politici sul viale del tramonto. Adesso però siamo al bivio: o gli si dà un ruolo serio oppure è meglio chiuderlo. Dice il sito che dal 1978 (il Cnel, ndr) ha «elaborato 970 documenti», al ritmo di uno e mezzo al mese. A un prezzo per il contribuente certo non proprio banale. Se il Cnel fosse costato allo Stato come oggi per 55 anni, farebbe più di un milione a documento. Fra questi, 14 disegni di legge: in media uno ogni quattro anni. Nessuno, manco a dirlo, andato in porto”.
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