Come privare i pensionati dei loro diritti? Renzi come Stranamore? Dopo le elezioni

Come privare i pensionati dei loro diritti? Renzi come Stranamore? Dopo le elezioni
Enrico Zanetti, di Selta Civica, sottosegretario all’Economia, nemico numero uno dei pensionati

ROMA – Cresce la tensione fra i pensionati in Italia. I giornali di sabato 9 maggio sono fonte di allarme per le notizie confuse che riportano, tutte collegate all’unico tema dominante: il Governo di Matteo Renzi è alla ricerca di come svuotare la sentenza della Corte Costituzionale sulla perequazione delle pensioni rispetto all’inflazione e come caricare di nuovi balzelli le “pensioni d’oro”, su cui grava già una pressione fiscale del 60%.

Qualche super burocrate Stranamore, che si annida nel cuore del Ministero dell’Economia vorrebbe anzi infierire ulteriormente sui pensionati d’oro, imponendo un secondo contributo di solidarietà su pensioni su cui lo Stato trattieene già, fra contributo di solidarietà imposto da Enrico Letta e Irpef, oltre il 60 %.
Sono poco più di 5 milioni i pensionati contro cui si focalizza l’odio della classe politica per le loro pensioni sopra i mille euro al mese, parametro di riferimento dei giustizialisti peronisti italiani e bandiera della nuova lotta di classe del Movimento 5 Stelle e della sinistra del Pd. Sono gente abituata alla disciplina, vengono da categorie che costituiscono la spina dorsale dello Stato e dell’economia, hanno lavorato e guadagnato molto e ora vedono minacciati i frutti del loro impegno da una marea montante di demagogia a basso prezzo che ha preso di mira le loro pensioni. Ad aizzare l’odio sono ignoti funzionari del ministero dell’Economia, aiutati da politici più o meno disastrosi come Berlusconi, Giulio Tremonti, Mario Monti, Enrico Letta.
Lo stato dell’arte è sintetizzato in questi titoli:

Italia Oggi:

“Perequazione, l’Inps in attesa”

Stampa (che pubblica anche una affascinante e inquietante tabella con quanto i pensionati hanno perso finora e rischiano di perdere in futuro, divisi in scaglioni):

“Pensioni, verso il decreto per far slittare i rimborsi”

Corriere della Sera:

“Pensioni, sarà usato il tesoretto. Ecco cosa cambia per i pensionati”.

Giornale:

“Pensioni, Renzi prende tempo per non perdere voti alle urne. Da un lato la sentenza della Consulta e i vincoli Ue, dall’altro gli elettori. Già pronto un decreto per evitare di decidere”

Gli articoli sono legati da un comune motivo conduttore, come in un film dell’orrore. Il Governo non vuole pagare gli arretrati né obbedire alla Corte costituzionale, Matteo Renzi è preoccupato dalle imminenti elezioni regionali e vuole prendere tempo, non vuole decidere fino a dopo le elezioni, conosce il peso elettorale di 5 milioni di pensionati, che vanno moltiplicati almeno per tre se si tiene conto di figli, mogli e vedove.

Si rinnova, con ampiezza crescente, lo scontro fra la Corte Costituzionale e il Governo, già evidente dopo la sentenza che dichiarò illegittimo il contributo di solidarietà superiori ai 90 mila euro anno e la decisione del Governo Letta di farsene un baffo e di rinnovarlo.

Si delinea anche un conflitto fra leggi dello Stato: la numero 400 del 1988, citata da Alessandro Barbera sulla Stampa, che

“vieterebbe di approvare norme che sospendono gli effetti della sentenza”

e l’articolo 17, comma 13 della legge n. 196/2009 (Finanziaria 2010), citato da Leonardo Comegna su Italia Oggi che stabilisce che

“il ministro dell’economia e delle finanze, allorché riscontri che l’attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri”.

Vediamo nel dettaglio gli articoli.

Corriere della Sera, Lorenzo Salvia:

“Fra le diverse ipotesi allo studio per limitare il costo dell’operazione rimborso degli arretrati, c’è anche un contributo di solidarietà. Un prelievo aggiuntivo che potrebbe essere applicato agli assegni più alti, quelli al di sopra dei 5 mila euro lordi al mese, naturalmente tutti calcolati con il più vantaggioso metodo retributivo, cioè facendo la media degli ultimi stipendi. Con una durata a termine e un gettito da destinare proprio alle pensioni più basse, sia per i rimborsi del passato sia per la rivalutazione futura, in modo da evitare nuove bocciature della Corte.

In ogni caso, ci sarebbero

– una divisione per scaglioni, e cioè restituire di più a chi ha una pensione più bassa per poi ridurre l’importo del rimborso mano a mano che l’assegno diventa più ricco:

– una soglia massima (3.500 o 4 mila euro lordi al mese) oltre la quale potrebbe non esserci alcuna restituzione”.

Rimborsare tutto a tutti, sostiene Lorenzo Salvia partecipando alla lotteria dei numeri che in questi giorni fanno apparire i giornali come tanti partecipanti a una grande partita di morra virtuale,  costerebbe 14,5 miliardi di euro. Ma il ministero dell’Economia

“si vuole tenere ben lontano dal livello di guardia, usando il minimo possibile la leva del deficit. Una buona parte dei soldi deve venire per forza da altre coperture, e da solo il «tesoretto» da 1,6 miliardi non basta. Bisogna pescare dallo stesso sistema pensionistico, senza ridare tutto a tutti e limando qualcosa per il futuro. C’è anche chi spinge in direzione opposta, però, sostenendo che la maggior parte delle risorse deve venire dal deficit, bordeggiando il limite del 3%”.

C’è in giro un’aria di imbroglio, come se i fanatici odiatori del Ministero dell’Economia, nel tentativo di demolire il sistema pensionistico pubblico come fece in Cile il generale Pinochet, usassero tutti gli strumento per destabilizzare l’Italia. L’impressione la dà proprio Lorenzo Salvia, quando riporta, correttamente, che

“Bruxelles ha fatto sapere che il caso pensioni non avrà ricadute sulle raccomandazioni che la prossima settimana saranno presentate per ogni Paese membro”.

L’Inps, aggiunge Lorenzo Salvia,

“ha diffuso a tutti i suoi uffici una comunicazione interna per dire di attendere le indicazioni da parte del governo. Prendere tempo, insomma, in caso di richieste di rimborso o di chiarimenti. Ma la base si muove. Morena Piccini – presidente dell’Inca, il patronato della Cgil, con oltre 3 milioni di pratiche l’anno – invita a non «fare allarmismi». Ma dice anche che la sua struttura è pronta ad aiutare i pensionati che vogliono chiedere la «ricostituzione dell’importo della pensione aggiornato a quanto dovuto dopo la sentenza della Corte». Si chiama «domanda amministrativa», una semplice mail mandata all’Inps tramite il patronato o direttamente dal pensionato se ha il codice pin”.

È quanto scrive anche Leonardo Comegna su Italia Oggi: nel messaggio 3135/2015 l’Inps avverte che

“è inutile presentare una domanda di ricostituzione della pensione, tesa al ricalcolo dell’assegno in seguito alla bocciatura del congelamento della indicizzazione. La richiesta non può essere accolta, in quanto manca la specifica «copertura» ex art. 81, quarto comma, della Costituzione, richiamata dalla legge finanziaria 2010, qualora sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Consulta, recanti interpretazioni della normativa vigente, determinino maggiori oneri.

“L’Istituto di previdenza fa sapere che in applicazione di quanto previsto dall’articolo 17, comma 13 della legge n. 196/2009 (Finanziaria 2010), non potrà definire eventuali richieste di ricostituzione relative ai trattamenti pensionistici interessati, fino all’adozione delle relative iniziative legislative. Ma cosa dice la citata disposizione? Eccola: «Il ministro dell’economia e delle finanze, allorché riscontri che l’attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri »”.

Domenico Comegna sul Corriere della Sera cerca però di dare altri dettagli:

Quanti e quali sono i pensionati interessati?
Tutte le rendite che alla data del 31 dicembre 2011 erano in pagamento con un importo superiore a 1.403 euro lorde (1.200 euro al netto delle tasse), ossia il triplo del trattamento minimo di allora. Le pensioni gestite dall’Inps alla data del primo gennaio 2015, con esclusione di quelle di tipo assistenziale (invalidità civili e pensioni sociali), sono circa 14 milioni e 300 mila. Di queste, 5 milioni e mezzo, grosso modo, registrano un importo superiore a 1.500 euro. Eccoli, dunque, gli assegni interessati alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il congelamento dell’indicizzazione. Le pensioni oltre i 1.403 euro, lo ricordiamo, sono state bloccate dalla riforma Fornero, e per ben due anni non sono state adeguate al caro vita. Il blocco del 2012 e del 2013, inoltre, ha comportato una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (niente aumenti sugli adeguamenti).

Nel biennio 2014-2015 invece l’adeguamento è stato calcolato sull’intero importo, con una percentuale del 100%, ma solo per tutti quelli che hanno un assegno fino a tre volte il minimo, mentre è diminuito per le altre categorie d’importo dallo 0,95% fino allo 0,40% (quest’anno con l’inflazione 2014 allo 0,2%, l’adeguamento praticamente non c’è stato). Senza tener conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva una volta. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, per farla breve, gli assegni Inps hanno visto praticamente evaporare il loro potere d’acquisto.

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