ROMA – Napolitano contro il Pdl: nessun golpe. Il Corriere della Sera: “Dura reazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo l’annuncio delle dimissioni di massa dal Parlamento da parte del Pdl. Lo scontro. Napolitano parla di «scelta inquietante» e definisce «grave e assurda» l’idea di un «colpo di Stato». Ma il centrodestra insiste: «Il golpe è una realtà». E in poche ore lo scontro diventa più pesante. L’esecutivo. Letta chiede un chiarimento pubblico. I parlamentari del Pdl firmano le dimissioni, mentre i ministri Quagliariello e Lupi prendono le distanze dagli attacchi al Quirinale. Letta oggi sale al Colle: «Il Pdl ha umiliato l’Italia».”
Napolitano: scelte inquietanti. Il Pdl rilancia. L’articolo a firma di Alessandro Trocino:
“Dopo l’annuncio di dimissioni di massa dal Parlamento da parte del Pdl, il capo dello Stato Giorgio Napolitano interviene con durezza, definendo «inquietante» la decisione del partito di Silvio Berlusconi e stigmatizzando l’evocazione di un «colpo di Stato», giudicata «grave e assurda». E così in poche ore lo scontro diventa frontale e il governo si trova sull’orlo del baratro. Da New York il premier Enrico Letta annuncia un chiarimento nell’esecutivo, mentre nel Pdl i ministri Gaetano Quagliariello e Maurizio Lupi prendono le distanze dagli attacchi al Quirinale.
Le prime avvisaglie dello scontro si hanno di prima mattina, quando il capo dello Stato non si presenta a un convegno in Senato su Alcide De Gasperi. Al suo posto fa arrivare una lettera di scuse: «Ieri sera è avvenuto un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante, a cui dedicare la mia attenzione». Il «fatto politico inquietante» a cui allude il capo dello Stato è la decisione dei parlamentari pdl di lasciare gli scranni in segno di protesta e solidarietà nei confronti di Silvio Berlusconi, che il 4 ottobre potrebbe essere dichiarato decaduto dal suo seggio. A fine mattinata, arriva la conferma dello scontro, con una nota ufficiale. Il presidente definisce «inquietante l’annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento — ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili — di tutti gli eletti nel Pdl». Se avvenisse, scrive, «ciò configurerebbe l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere».
In diciotto righe l’ira del presidente E resta il «no» alle urne anticipate. L’articolo a firma di Marzio Breda:
Il suo riconosciuto (innato e coltivato) autocontrollo, per il quale lo avevano definito un «atarassico», si è incrinato ieri mattina con la lettura dei giornali. Sarebbe infatti stata necessaria una virtù sovrumana per restarsene impassibile e in silenzio davanti ai resoconti dell’assemblea del Pdl e attendere di «verificarne con maggiore esattezza le conclusioni», come si era ripromesso mercoledì sera, quando le «voci di dentro» del centrodestra erano una babele indistinta e non sembravano ancora materializzare un’ipotesi politica prossima a concretizzarsi. Insomma: ce n’era già abbastanza per dire che quanto era scaturito dal discorso di Silvio Berlusconi e di altri leader era «istituzionalmente inquietante» e per intervenire subito. Con una dichiarazione durissima e, dal punto di vista di chi deve concentrarsi sulla stessa tenuta democratica, intransigente. Anche perché l’ultimatum lanciato nel nome del Cavaliere rappresenta, oltre a un vero e proprio annuncio di precrisi, una sfida rivolta ormai pure allo stesso Quirinale. Da respingere.
Così, Giorgio Napolitano ha disertato un convegno su De Gasperi dov’era prevista la sua presenza, si è seduto alla scrivania e ha sintetizzato in 18 righe i pericoli che possono produrre le minacciate dimissioni di massa dei parlamentari berlusconiani. Ma ha soprattutto deciso di mettere con le spalle al muro chi, con una strategia ad altissimo rischio, minaccia di travolgere i sempre più fragili equilibri delle larghe intese, a costo di «far decadere» l’intero Paese in una fase estremamente delicata. Segnalando alcuni punti fermi — a uso di quella stessa parte politica e dell’opinione pubblica — e spiegando che un’idea simile «configurerebbe l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere». Prospettiva «inquietante» (perché inciderebbe su un organo costituzionale) al pari del collegabile ed esplicito proposito di esercitare in tal modo «un’estrema pressione sul capo dello Stato», per spingerlo a chiudere in anticipo la legislatura e mandare gli italiani al voto.
Letta: Italia umiliata. Serve un chiarimento. L’articolo a firma di Massimo Gaggi:
«Una vera umiliazione: mentre parlavo all’assemblea dell’Onu dove rappresentavo tutta l’Italia, non me stesso, in sedi istituzionali del nostro Paese sono successe cose assai gravi. Quanto accaduto ieri a Roma non ha umiliato me ma tutta l’Italia. A questo punto è necessario un chiarimento che deve avvenire in tempi rapidi e va fatto non nelle stanze della politica, ma davanti ai cittadini, in Parlamento».
Enrico Letta ha appena finito di parlare con gli studenti della Columbia University nella «Rotunda» della celebre accademia newyorchese (dove il rettore che ha moderato l’incontro l’ha presentato come «Gianni», scusandosi subito dopo per l’errore). Sorridente, cordiale, pronuncia un discorso pieno di fiducia sul futuro dell’Europa, sulla necessità di reagire alle avversità rilanciando l’economia e creando nuovi meccanismi di «governance». Poi risponde alle domande degli universitari e anche di alcuni studenti liceali. Ma pochi minuti dopo quello che incontra i giornalisti nell’Italian Academy dell’ateneo è un premier assai diverso: indignato, risentito, se non addirittura furioso. Deciso a reagire.
Si andrà a un voto fiducia? «Le modalità di questo chiarimento — chiarimento, non verifica, una parola del vecchio linguaggio della politica che io non uso — le definiremo insieme al presidente della Repubblica che incontrerò appena rientrato da New York», spiega Letta. «Ripartirò nella notte (ieri notte per chi legge, ndr ) dopo aver incontrato il presidente iraniano Rouhani e aver presentato agli americani l’Expo Milano 2015. Appena atterrato farò la doccia e andrò subito al Quirinale da Napolitano».
Berlusconi: avevo pensato di mollare Ma adesso andrò fino in fondo. L’articolo a firma di Francesco Verderami:
«Molti nemici molto onore» sbotta infine Berlusconi, come a volersi strappare di dosso quella camicia di forza che per mesi aveva indossato controvoglia. E non è chiaro se non intende arretrare perché ormai non può più farlo, di certo — siccome considera Napolitano «il regista della congiura» — non rinnega la sua tesi sull’«operazione eversiva orchestrata ai danni del leader politico del centrodestra», anzi la sostanzia, innescando un conflitto istituzionale senza precedenti. Così, dalla barricata su cui si è posto, replica con pari durezza alle parole del presidente della Repubblica, sostenendo che è «legittimo, perché veritiero, parlare di colpo di Stato». Perciò ieri ha ordinato ai capigruppo del Pdl di rispondere alla nota del Quirinale, siccome sostiene di avere «le prove di ciò che dico»: «Mi limito per ora a ricordare solo il modo in cui è stata composta la sezione feriale della corte di Cassazione, apparecchiata come un plotone di esecuzione contro di me. Di quella sentenza tutta la magistratura dovrebbe vergognarsi».
Non è più tempo di galateo istituzionale, «basta con questa storia delle etichette», commenta il Cavaliere, che a tutti si rivolge con un moto di fastidio quando si affronta l’argomento. Ne sa qualcosa Gianni Letta, che l’altro ieri — appellandosi proprio all’etichetta e al senso dello Stato — aveva tentato in extremis di convincere Berlusconi a bloccare l’operazione delle dimissioni in massa dei parlamentari, ed è stato sbrigativamente liquidato con toni molto aspri. Il punto è che il leader del Pdl ritiene di avere avuto «fin troppo senso dello Stato», mentre veniva messa in atto l’«operazione eversiva» di cui si sente vittima. Ha il Quirinale nel centro del mirino: «Sul lodo Alfano non è intervenuto, sul legittimo impedimento non è intervenuto, sull’atto di clemenza è meglio lasciar stare. E allora poi non si può lamentare per quello che sta accadendo». Nei suoi ragionamenti, ormai senza più freni, chiama in causa anche il presidente del Consiglio: «Dice che non poteva fare nulla? Poteva almeno risparmiarsi certe dichiarazioni».
Letta: il Pdl umilia l’Italia. La Stampa: “Letta passa all’attacco. «Italia umiliata, serve un chiarimento anche in Parlamento» dice a New York. Il premier, che oggi incontrerà Napolitano, chiede il voto in Aula affinché «tutti dicano dove vogliono andare e se ne assumano la responsabilità». I parlamentari di Berlusconi firmano le dimissioni. Il Colle: iniziativa inquietante.”
Iva, in bilico il blocco dell’aumento. L’articolo a firma di Raffaello Masci:
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». Questi versi di Giuseppe Ungaretti si attagliano come non mai all’attuale governo, il quale – ciò nondimeno – dovrà oggi affrontare dei temi cruciali, senza possibilità di rinvii o slittamenti: dallo stop dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% alle coperture per rientrare dallo sforamento del deficit, dal rifinanziamento delle missioni internazionali fino alle emergenze legate a Telecom (golden share) e alle aziende Riva.
Solo per Iva, deficit e missioni militari occorre trovare 3 miliardi. E tutto questo nonostante la latente minaccia di una crisi di governo che renderà incandescente il consiglio dei ministri fissato per oggi ma ancora non convocato.
Si prepara lo scudo per Telecom. L’articolo a firma di Francesco Spini:
E se Telefonica fosse costretta a lanciare un’Opa su Telecom Italia? Altro che 840 milioni e spiccioli per il 70% di Telco, che, col 22,4%, consente un sostanziale controllo sul gruppo. Con un’Opa, la campagna italiana di César Alierta si trasformerebbe nella campagna di Russia di Napoleone, con morti e feriti. Per dire: toccherebbe spendere oltre 14 miliardi (al prezzo offerto ai soci italiani) o ritirarsi. Scenario remoto. Ma l’accerchiamento ai «conquistadores» spagnoli procede. Su due fronti.
Il primo riguarda la rete, il secondo passa proprio per nuove regole sull’Opa. Ma andiamo con ordine. La rete. Ieri gli 007 del Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Presidenza del Consiglio, in una relazione, hanno confermato al Copasir una «ragionevole ipotesi di allarme». Se la rete passasse in mani straniere, ancorché europee, sarebbero a rischio le conversazioni dei cittadini come quelle riservate della pubblica amministrazione, delle grandi aziende, della presidenza del Consiglio. Dei servizi segreti, perfino. Il rischio? La perdita della sovranità del Paese!, assicurano. Quanto basta per premere l’acceleratore della salvaguardia del bene ormai elevato a «strategico». Così le «reti» e gli «impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale» compaiono (articolo 3) tra «gli attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni» secondo la bozza di decreto oggi al vaglio del Consiglio dei ministri. E a tali servizi verrà applicato il «golden power», eredità della «golden share» che conferisce allo Stato poteri speciali di intervento, senza limiti in caso di minaccia alla sicurezza come in questo caso.
Nucleare, riparte il dialogo Rohani: 3 mesi per l’intesa. L’articolo a firma di Francesco Semprini:
Non succedeva dal 1979. Si è scritta la storia ieri al Palazzo di Vetro, quando il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif si è unito ai lavori del Gruppo 5+1, ovvero dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza e la Germania. Questa volta a rappresentare gli Stati Uniti nel ritrovato sestetto c’era direttamente John Kerry, il segretario di Stato americano. Non accadeva da 34 anni un incontro tra capi della diplomazia iraniana e americana, da quando all’indomani della rivoluzione khomeinista e la presa degli ostaggi per 444 giorni, Teheran e Washington recisero in maniera netta ogni rapporto. Nessun titolare di Foggy Bottom si è trovato nella stessa stanza con l’omologo iraniano nel corso delle riunioni del sestetto.
Il gruppo 5+1, sin dalla sua formazione, quando era segretario di Stato Colin Powell, ha visto infatti come negoziatore principale William Burns, attuale numero due del dipartimento e uno dei diplomatici più abili degli Stati Uniti. Un evento sponsorizzato su Twitter dallo stesso presidente iraniano. «Con la riunione dei ministri degli Esteri dei 5+1 Kerry incontrerà Zarif, – scrive nel cinguettio digitale Rohani dando vita alla prima riunione tra capi delle rispettive diplomazie dal 1979».