ROMA – “L’intrigo internazionale non è mai esistito. Almeno su questo c’è accordo. La pista dei Lupi Grigi, terroristi dell’estrema destra turca che avrebbero rapito Emanuela Orlandi per ottenere la liberazione di Ali Agca, non è una cosa seria”. Lo sostiene Giancarlo De Cataldo in un articolo dal titolo “Quel romanzo criminale che porta Oltretevere”, pubblicato su Repubblica.
De Cataldo quindi riporta anche la tesi di Pino Nicotri:
Secondo Pino Nicotri, lo scrittore e giornalista che più di ogni altro ha indagato, con ossessiva meticolosità, sulla scomparsa della Orlandi, non si dovrebbe nemmeno parlare di rapimento, posto che la tesi del sequestro sarebbe nata in ambiente vaticano e soltanto dopo altri soggetti — e non solo gli spioni di Pankow — sarebbero intervenuti, trasformando un atroce caso di violenza in un intrigo internazionale. Alle trame complesse, però, una volta inscenate, ci si affeziona. Fascino e forza narrativa di un grande scenario lusingano l’inveterato gusto nazionale per il complottismo.
E così voci e “piste”, ora grottesche, ora venate di tragico, involontario umorismo, si sono susseguite negli anni. Emanuela figlia segreta di un papa, ovvero nipote di un altro papa, o entrambe le cose; Emanuela viva, vegeta e sposata da qualche parte nel mondo; Emanuela a Londra, o addirittura a Roma, e persino protetta (e chissà poi perché) dai suoi stessi familiari. E via dicendo. In una pirotecnica girandola di rivelazioni che ha portato alla ribalta, nel corso degli anni, figure e figuri di un sottobosco mediatico degno di un tragico grand-guignol.
Ma allora cosa è davvero successo? Secondo De Cataldo restano due sole ipotesi:
Emanuela è rimasta vittima di un gioco erotico, ovvero è stata rapita dalla Banda della Magliana, ma senza il concorso di turchi, Servizi deviati e via dicendo. Entrambe le “piste”, come è sempre accaduto in questa storia che sembra non avere fine, conducono direttamente al Vaticano. Da un lato, il “gioco” erotico avrebbe coinvolto alti o medi prelati (secondo l’autorevole esorcista Padre Amorth, addirittura adepti del Maligno); dall’altro, Renatino De Pedis avrebbe rapito Emanuela per rientrare delle ingenti somme malaccortamente affidate allo spregiudicato finanziere in tonaca Paul Marcinkus. Che, peraltro, il Vaticano fosse l’epicentro della vicenda è noto sin dalle prime battute. Così come resta un punto fermo la scarsa, per non dire nulla, collaborazione delle autorità di Oltretevere.
C’è un episodio emblematico che la dice lunga su quali e quante difficoltà abbiano incontrato coloro che si sono ostinati (e ancora si ostinano) a cercare la verità. A un certo punto, accogliendo finalmente una delle tante richieste dei nostri giudici, il Vaticano acconsente a lasciarsi intercettare: c’è un telefonista che comunica, dall’esterno, e dice di saperla lunga sul sequestro di Emanuela. Un certo giorno, costui chiama, e chiede di parlare con Sua Eminenza Casaroli. Seguono tre minuti di affannosa ricerca, passaggi da un centralinista all’altro, da un segretario a un sottoposto. Infine, una suora trafelata annuncia l’arrivo del cardinale. E a quel punto, la linea cade, l’intercettazione finisce, e i giudici (come troppo spesso è accaduto nella nostra felice Repubblica) restano con un palmo di naso.
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