ROMA – L’annuncio della scissione tra la Ferrari e la FCA è, parafrasando John Elkann, “un evento storico”. Ora le due società vivranno di vita propria e, come ha detto Marchionne, che resterà presidente a Maranello, la “Ferrari sarà valutata come merita come produttore di auto di lusso”.
Lo strumento della scissione – scrive Fabrizio Massaro del Corriere della Sera – non è una novità per Marchionne: l’aveva già utilizzato in Fiat nel 2010 per separare il business automobilistico dai veicoli industriali (macchine agricole, camion eccetera), separando da Fiat l’attuale Chn Industrial. E infatti adesso Exor controlla il 30% della prima e il 27% della seconda. Anche quella operazione venne spiegata con la necessità di far emergere il valore inespresso delle varie componenti del gruppo.
Con Ferrari si punta a realizzare la stessa cosa. Lo sbarco in Borsa — assistito da Jp Morgan, che già a inizio settembre parlava di Ferrari come un asset «valorizzabile e monetizzabile» — avverrà nel 2015. Exor si prepara a non diluirsi nell’azionariato investendo circa 600 milioni nel bond convertendo di Fca da 2,5 miliardi di dollari che è propedeutico alla scissione di Ferrari. Alla fine a Wall Street il 10% di Maranello sarà (com’è ora) di Piero Ferrari, il 24% circa di Exor, il resto — se sottoscriveranno il bond — agli attuali azionisti di Fca, compresa la Banca centrale della Cina, ora socio al 2%.
Lo scorso 10 settembre alla conferenza stampa per spiegare la repentina uscita di Luca Cordero di Montezemolo dal gruppo, Marchionne aveva detto che la quotazione di Ferrari era «un’ipotesi che non esiste. Non è sul tavolo. E comunque la responsabilità di scelte strategiche come l’aumento di capitale di Fiat Chrysler o l’Ipo Ferrari sono del consiglio di Fca. Prima se ne discute lì dentro e poi sui giornali». Ma il mercato aveva comunque speculato su una mossa simile.
Per gli analisti di Mediobanca «la decisione era la più strategica di tutte», scrivevano il 22 settembre scorso. «Exor apprezzerebbe lo spin off perché Ferrari è l’asset perfetto per una società di famiglia: alto e costante flusso di dividenti, visibilità di lungo termine garantita da un brand immortale». La stima era di circa a 10 volte il margine operativo lordo, «dunque tra 7 e 9 miliardi di euro» anche se Ferrari potrebbe arrivare a multipli più alti dato «lo status di esclusività». «Tuttavia per una valutazione accurata servirebbero «più indicazioni» sugli aspetti finanziari: «Da dove arrivano i ricavi, quanto pesa il merchandising e quanto può essere ancora sfruttato, quanto costa la Formula 1 e altre domande simili».
Il modello Maserati e la scommessa sul nuovo Cavallino. Scrive Bianca Carretto del Corriere della Sera:
Nell’ambito di un piano per creare una struttura di capitale appropriata a sostenere lo sviluppo di lungo termine del gruppo Fca, la Ferrari punta alla borsa per «preservare la rinomata tradizione italiana», permettendo così agli azionisti «di continuare a beneficiare del valore intrinseco di questo business». Il Cavallino che corre da solo è una sorta di pepita d’oro, fondamentale per raggiungere gli obiettivi del piano Fca (Ferrari e Maserati generano circa il 25% dei margini) illustrato da John Elkann e Sergio Marchionne a maggio.
«L’annuncio di oggi — ha detto Marchionne agli analisti — permetterà di dare alla Ferrari il suo giusto valore nella sua missione di alto di gamma dei nostri marchi. Penso che stiamo facendo la cosa giusta». Con il 10% offerto agli investitori, un altro 10% nelle mani di Piero Ferrari e il rimanente 80% distribuito a tutti gli azionisti Fca (la famiglia Agnelli rimane il più importante) Ferrari avrà la spinta necessaria per avere un ruolo da protagonista nei mercati finanziari e per puntare, sul fronte sportivo, al gradino più alto. «Oggi è un grande giorno, abbiamo fatto pulizia, stiamo creando solide basi per guardare al futuro sino al 2018 — ha precisato Marchionne — questa operazione non modifica gli obiettivi del piano».
Lo scorporo di Ferrari rafforzerà Maranello e sosterrà il piano di investimenti da 48 miliardi di euro di Fca. Già nel 2015 i volumi di vendita del gruppo dovrebbero attestarsi al di sopra di quelli 2014, con Jeep e Fiat 500 in espansione costante e con Maserati che nel terzo trimestre ha venduto 8.900 unità, più del doppio di tutto il 2013. Il Nord America è il primo mercato del Tridente, grazie a una crescita del 106%. Stesso aumento in Cina mentre in Europa ha raggiunto il 177%. L’introduzione dell’Alfa, nella seconda parte 2015, sarà un’altra tappa importante. La sfida è affrontare tutti i mercati emergenti attraverso i prodotti premium. L’ultima proposta è stata appena presentata al salone di San Paolo, in Brasile, dove è stato esposto un concept Fiat FCC4: un coupé 4 porte lungo 5 metri, largo 1,95 ed alto 1,60, dal carattere avventuroso, che non assomiglia ad alcun altro modello Fca e che potrebbe essere precursore del design dei suv futuri del gruppo.
Per Fca un piano da 4 miliardi di euro. Andrea Malan del Sole 24 Ore:
Quattro miliardi di mezzi freschi entro il 2015 per tagliare il debito e gettare le basi per una «solida esecuzione» del piano 2014-2018. Nel giorno in cui approva un bilancio trimestrale inferiore alle attese, il consiglio di amministrazione di Fiat Chrysler – riunitosi per la prima volta a Londra – fa tre passi avanti per risolvere il problema della ricapitalizzazione: cede il 10% di Ferrari, colloca in Borsa 100 milioni di azioni Fca, lancia l’atteso prestito convertendo da 2,5 miliardi di euro – e il mercato la premia con un balzo del titolo del 12%, dopo che inizialmente i conti l’avevano spinto al ribasso per l’aumento del debito netto (in forte rialzo, +7%, anche Exor).
Vediamo prima la complessa manovra finanziaria. Il collocamento delle azioni Fca riguarda 100 milioni di azioni, compresi 35 milioni di azioni proprie e 54 milioni di titoli «per reintegrare il capitale delle azioni cancellate a seguito dell’esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti Fiat». Ai prezzi di oggi l’operazione vale 860 milioni, anche se per effetto dello sconto nelle casse del Lingotto ne arriveranno di meno.
L’altra parte del rafforzamento patrimoniale del gruppo è rappresentata dall’emissione di un prestito obbligazionario convertendo fino a 2,5 miliardi di dollari Usa (circa 2 miliardi di euro); questa operazione si prevede sia completata «entro la fine del 2014». Exor, azionista di controllo di Fiat Chrysler con una quota di capitale di poco superiore al 30% del capitale e il 47% circa dei diritti di voto, sottoscriverà il prestito investendo circa 600 milioni di euro. Perchè 2 miliardi di euro? «Abbiamo sottoposto il bilancio a uno stress test per verificare quanto capitale servirebbe nel caso della contrazione più severa possibile del mercato» ha spiegato Marchionne, il quale spera di chiudere le due operazioni «entro novembre».
Il prestito convertendo e il collocamento Fca faranno entrare nelle casse del gruppo circa 2,7-2,8 miliardi di euro, cui si aggiungeranno l’anno prossimo il ricavato della vendita del 10% Ferrari e un dividendo straordinario dalla stessa Ferrari prima dello scorporo. «L’operazione nel suo insieme vale 4 miliardi di euro» ha detto ieri Marchionne, e «crea le basi per una solida esecuzione del piano quinquennale». Non solo: Fca ha anche annunciato che rimborserà in anticipo (entro il 2016) i due prestiti obbligazionari di Chrysler in circolazione con scadenze 2019 e 2021. L’obiettivo è di «eliminare ogni vincolo contrattuale che limiti i flussi finanziari tra le società del Gruppo». A quel punto verrà meno anche la necessità di conservare l’enorme attuale cuscino di liquidità (21,7 miliardi di euro a fine settembre) che rende pochissimo e appesantisce gli oneri finanziari netti. Secondo il direttore finanziario Richard Palmer l’onere netto potrebbe ridursi a 1 miliardo all’orizzonte 2017.
Finora i debiti hanno continuato a salire, e proprio l’aumento del debito netto a 11,4 miliardi di euro a fine trimestre aveva fatto perdere il 4% alle azioni Fiat prima della notizia dello scorporo di Ferrari. I risultati del gruppo nel 3° trimestre vedono un fatturato di 23,6 miliardi di euro (+14%), un utile operativo (Ebit) di 926 milioni (+7% dagli 856 di un anno fa) e un risultato netto di 188 milioni, praticamente invariato rispetto ai 189 del 2013. Confermati i target per l’intero 2014: ricavi uguali o superiori a 93 miliardi di euro, utile operativo (al netto delle poste straordinarie) fra 3,6 e 4 miliardi, risultato netto fra 600 e 800 milioni e debito netto industriale compreso fra 9,8 e 10,3 miliardi di euro.
Le consegne di veicoli Fca nel trimestre sono salite del 10% a 1,1 milioni, trainate dall’ottima performance in Nordamerica. Il risultato operativo è migliorato in tutti i settori tranne in America Latina, dove il forte calo dei ricavi ha fatto scendere l’utile da 169 a 51 milioni. Quasi dimezzate le perdite in Europa a 63 milioni dai 116 dello stesso periodo del 2013. Bene i marchi di lusso, che grazie all’incremento dei ricavi (+35%) hanno visto l’utile crescere da 131 a 179 milioni.
L’area nordamericana (Nafta) rimane il principale motore dei profitti, con un utile che è però cresciuto meno dei ricavi: +2% a 549 milioni a fronte di un +19% del fatturato. Hanno pesato, spiega l’azienda, «maggiori costi di garanzia e per campagne di richiamo».