Imu e Iva? Restano. Cassa dello Stato di male in peggio. Liberalizzazioni? Cucù

Flavio Zanonato: promette liberalizzazioni, siamo alla frutta (LaPresse)
Flavio Zanonato: promette liberalizzazioni, siamo alla frutta (LaPresse)

Se i ministri annaspano con inverosimili annunci su Iva e Imu, annunciando come eventi epocali rinvii di pochi mesi o “rimodulazioni ” che sanno di fregatura, vuol dire proprio che siamo alla frutta, o meglio alla canna del gas.

Il fabbisogno di cassa dello Stato è aumentato, senza che sia stato fatto nulla di speciale, solo per inerzia e per mancanza di guida, nei mesi persi dietro alla insipienza politica di Pierluigi Bersani che voleva a tutti i costi andare a palazzo Chigi e corteggiava Beppe Grillo. In più c’è l’impegno a ridurre di 20 miliardi di euro il disavanzo, in omaggio al Fiscal Compact cui Mario Monti ha aderito senza nemmeno mettere in discussione una qualche clausola di salvaguardia. La stangata incombe, ma tutti, come in casa del morto, evitano di parlarne: sperano che un aumento del bollo auto sia sufficiente.

Leggere i giornali dà la depressione, per le notizie e per come i giornalisti si arrampicano sugli specchi per non farci stare troppo male.

Il più crudele è Stefano Feltri del Fatto:

“Ormai è chiaro, la Iva a luglio aumenterà di un punto. La Imu sulla prima casa sarà riscritta, ma difficilmente abolita, “senza sfasciare i conti pubblici”, come tiene a ribadire Enrico Letta. Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi aumenta di qualche miliardo le promesse a ogni intervista, ma perfino lui si limita a ipotizzare uno slittamento dell’aumento dell’Iva da luglio a dicembre”.

Ma c’è di peggio:

“Da alcuni giorni, infatti, gli esperti di finanza pubblica si interrogano su un mistero: perché il fabbisogno è esploso? Che cosa sta succedendo ai conti pubblici italiani dietro la patina di perfezione con cui si presentano in Europa? Il fabbisogno misura, si legge nel Documento di economia e finanza, “l’eccedenza delle erogazioni sugli incassi derivanti dalle operazioni correnti, in conto capitale e finanziarie”. In pratica è la misura di quanto sta spendendo lo Stato davvero. Mentre il deficit è soltanto una grandezza contabile, che esiste su carta, il fabbisogno è molto concreto.

“Secondo il Def 2013 appena approvato dal Parlamento, per quest’anno era stimato un fabbisogno di 54,6 miliardi di euro. Ma pochi giorni fa il ministero del Tesoro ha comunicato che a maggio il fabbisogno è già arrivato a 56,2 miliardi. Ed è vero che a inizio anno servono più soldi che nella seconda metà (quando arriva il gettito di molte imposte), ma il fabbisogno di solito cresce comunque di mese in mese. Un anno fa, a maggio, era 35 miliardi e a dicembre era arrivato a 48. Se nel 2013 si continua con lo stesso ritmo, si arriverà alla terrificante cifra di 76,8 miliardi, non lontano dagli 86 miliardi del 2009, l’anno della grande recessione.

“A cosa si devono numeri tanto sorprendenti? Mistero. Dal Tesoro dicono che “sono in linea con le previsioni” e che ci sono spiegazioni rassicuranti: gettito differito di alcune imposte e pagamenti non previsti. Ma tra molti economisti circola un’ipotesi più inquietante: complice la vacatio di potere dopo le elezioni, ministeri e pubbliche amministrazioni si sono lasciati un po’ andare, sorvolando sui tagli previsti dalle varie spending review. E dalle casse è uscito un flusso di denaro superiore alle attese. E le entrate fiscali, avverte il dipartimento delle Finanze, non stanno andando bene, cresce solo l’Irpef”.

In altre parole: pagano sempre solo i lavoratori dipendenti, i pensionati e quanti hanno fatto la denuncia dei redditi in modo corretto.

Un filo di speranza viene dal Corriere della Sera e da Repubblica, che insistono con la spending review come toccasana dei nostri mali, nonostante il miserando fallimento del Governo Monti. Non si può escludere che un Governo meno infestato da tecnici di quello di Mario Monti faccia un po’ meglio, ma a leggere gli stessi articoli della speranza qualche dubbio è giustificato.

Scrive Mario Sensini sul Corriere che l’unica soluzione per il governo è tagliare la spesa pubblica, poi però si mette dalla parte dei bottoni e più che di un taglio Sensini parla di “razionalizzazione” su tre linee:

“1.una nuova tranche della spending review sulla pubblica amministrazione,

2. la revisione degli incentivi alle imprese,

3. la razionalizzazione delle detrazioni, deduzioni ed agevolazioni fiscali”.

Tutto facile in apparenza, ma quella di ridurre le agevolazioni fiscali era anche un’idea del presidente Usa Barack Obama e abbiamo visto come è andata.

Suona lo stesso spartito Roberto Petrini su Repubblica. Quando Fabrizio Saccomanni dice:

“Bisogna ricomporre le voci di bilancio”

secondo Roberto Petrini vuole dire che occorre

“rimettere mano alla spending review”.

Infatti,

“un intervento sul fronte delle spese aprirebbe maggiori margini anche per sciogliere il nodo delle risorse Imu-Iva (dai 4 ai 6 miliardi) sul quale aumenta il pressing del Pdl, [anche se] sull’Iva, comunque, il Tesoro resta prudente: un’ipotesi potrebbe essere far scattare l’aumento depotenziandolo però con un rimescolamento dei prodotti in paniere, rincarando alcuni generi attualmente al 4 e riducendo altri di maggior consumo oggi al 21%”.

Miserie, insomma. Per indorare la pillola, si torna a parlare di liberalizzazioni. Vuole dire allora che davvero non sanno più a che santo votarsi. Dopo il fallimento delle guerre a ordini taxi, notai e farmacisti, ora ci vanno prudenti. Ha detto il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, che ha già al suo attivo, in un mese di Governo, parecchie fanfaluche:

“Il Governo presenterà presto un pacchetto di misure sulle liberalizzazioni: bisogna ridurre la complessità burocratica per le imprese”.

Zanonato nei giorni scorsi aveva indicato in alcuni settori chiave come Rc auto, compravendita di immobili ed energia.

Roberto Petrini, che è una persona intellettualmente onesta, non ha il coraggio di andare oltre:

“Quello che è certo che la situazione economica continua ad essere preoccupante“.

Amen.

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