ROMA – Riforme, anche Alfano con Renzi. La Repubblica: “Alla Camera la legge elettorale, Lega in rivolta. Il Pd contro Zanonato.”
Il Governo, presieduto da Enrico Letta, studia invece il resto: il rilancio dell’economia, la lotta alla disoccupazione, il semestre di presidenza dell’Ue.
Tutto chiaro quindi? Non tanto. Perché quello stesso schema nelle ultime ore viene esaminato da molti — dentro e fuori la maggioranza — con lenti diverse. Viene letto in controluce e nel chiaroscuro si intravede un percorso affatto diverso. Al termine del quale la meta si presenta con contorni molto più sfumati, completamente nuovi e per certi versi sorprendente: la nascita a febbraio di un esecutivo guidato non più da Letta ma dal segretariodel Pd. Anzi, si sta componendo un fronte che immagina un blitz e inizia ad avanzare un’idea: per realizzare le riforme, per dare un senso a questa legislatura, deve essere Renzi a sedere subito sulla poltrona di Palazzo Chigi. Suggerimenti che nelle ultime due settimane si sono susseguiti. O meglio, hanno spesso affiancato la trattativa per la definizione del sistema elettorale che dovrebbe mandare in soffitta il vecchio Porcellum, anche nella versione mutilata dalla Corte costituzionale. Consigli, però, che il leader democratico respinge al mittente. Non ne vuole nemmeno sentir parlare. «Ho altre gatte da pelare», risponde a tutti sapendo che una soluzione del genere potrebbe essere esiziale per se stesso e per il Pd. Si tratta, insomma, di un “no grazie” inequivocabile.
Eppure da Alfano a settori del Partito democratico, per arrivare agli alleati “minori”, tanti hanno chiesto al sindaco di Firenze: «Ma non sarà che debba toccare a te subito? ». Sarebbe, è il loro ragionamento, la garanzia per siglare un vero “Patto costituente”. Basta ascoltare un parlamentare esperto come Bruno Tabacci, leader del Centro Democratico e sfidante del segretario alle primarie del 2012, per capire che l’idea ha già raggiunto una fase avanzata di maturazione: «A me risulta che il capo dello Stato abbia fatto un discorso molto netto a Renzi: se non dai il sostegno al governo e non rendi possibile che questa legislatura arrivi alla primavera del 2015, io mi dimetto ». A meno che, racconta ancora Tabacci, «non sia tu a fare il governo. E non credo che Matteo sia molto lontano da questa ipotesi».
Ma anche un “ex avversario” come Angelino Alfano con i suoi fedelissimi non ha nascosto che sul tavolo ormai «è comparsa anchequesta carta». I due hanno pranzato lunedì scorso al Viminale. Si sono capiti e in una certa misura hanno avviato un rapporto. Al punto che nelle ultime ore il vicepresidente del Consiglio a più riprese spiegava: «Io e Matteo alla fine ci comprendiamo, ci stiamo simpatici. Il problema semmai è tra lui e Letta. Non con me». Una riflessione che anche Pier Ferdinando Casini non fa nulla per nascondere: «Che male ci sarebbe?». Non solo. Il leader centrista sta spiazzando un po’ tutti, anche gli amici di lunga data, con i suoi giudizi sul sindaco di Firenze: «Mi ha sorpreso positivamente, sta dimostrando grande intelligenza politica».
Italicum, anche Alfano firma il testo ma M5S, sinistra Pd e piccoli partiti promettono battaglia sulle preferenze.
C’è un testo base dell’Italicum. Un documento ufficiale, articolo per articolo, presentato ieri sera alla commissione Affari costituzionali della Camera e firmato dai partiti del patto a tre: Pd, Forza Italia e Nuovo centrodestra. La bozza di legge ricalca alla lettera l’accordo sottoscritto da Renzi, Berlusconi e Alfano. Ma la battaglia è appena iniziata e si consumerà nello scontro tra i favorevoli alle liste bloccate e i sostenitori del voto di preferenza. Con numeri, in commissione, che lasciano prevedere pericoli per la formula studiata dal segretario del Partito democratico.
Gianni Cuperlo annuncia emendamenti «di singoli parlamentari » al testo base. «Non saranno iniziative di corrente ma libere scelte dei deputati». I “non renziani” di varie anime, nella commissione, sono 12. Insieme agli 8 di Grillo, ai 2 di Ncd, ai 3 di Sel, ai 2 di Scelta civica, ai 2 della Lega e ai solitari esponenti di Fratelli d’Italia e Popolari per l’Italia possono costituire una maggioranza capace di frenare la bozza sul punto chiave concordato tra Renzi e Berlusconi: il no alle preferenze. Sarebbe un’asse molto trasversale e naturalmente molto teorico. Un primo segnale di caos però è evidente: la mancata firma al testo di due componenti della maggioranza di governo, i montiani e il gruppo di Casini. Ecco perché l’attenzione è massima. I tempi stretti possono peggiorare il quadro. La legge dovrebbe arrivare in aula lunedì. Anche lì le modifiche sono sempre possibili, ma è evidente che un voto compatto in commissione sarebbe importantissimo per la tenuta dell’impianto. Per questo le prossime ore sono decisive.
Da lontano è intervenuto anche Massimo D’Alema. «Che si sia arrivati a un’intesa è un fatto positivo — ha detto l’ex premier —. Certo, ora il Parlamento ha la libertà di approfondire, correggere, decidere, secondo le regole democratiche normali». Ma quali correzioni sono accettabili e salvaguardano l’Italicum e quali no? Il bersaniano Alfredo D’Attorre prepara le sue modifiche: «Si chiama testo base apposta. Può e deve essere corretto ». Da qui comincia la battaglia. In realtà Scelta civica e Sel vengono considerati “alleati” non solidissimi per condurre una partita contro le liste bloccate. Possono diventarlo invece i 5 stelle.
La lite nel Pd si abbatte sul governo Serracchiani: “Zanonato se ne vada”.
D’accordo, parlava da presidente della regione Friuli e non da membro della segreteria Renzi. Ma quando ieri mattina Debora Serracchiani è arrivata a chiedere le «dimissioni» del ministro bersaniano Zanonato, nel governo hanno capito che la guerra tra Letta e Renzi — al di là della retorica sui patti e sulle intese — è appena cominciata. L’occasione alla Serracchiani la dà la crisi della Electrolux, che ha due fabbriche, una in Veneto e un’altra in Friuli. Il ministro viene accusato di voler difendere solo lo stabilimento della sua regione. Per questo «ha dimostrato — attacca Serracchiani — di non avere l’equilibrio necessario per ricoprire il suo delicato incarico: dovrebbe dimettersi». L’interessato, messo nel mirino dai renziani da settimane in vista del rimpasto, risponde per le rime: «La polemica con la richiesta di dimissioni francamente non l’ho capita. Alle regioni dico di smettere di polemizzare e di dare suggerimenti ». Un gruppo di deputati veneti del Pd di area Bersani — a partire da Davide Zoggia — si schierano con Zanonato, che riceve pure in serata una telefonata di solidarietà del premier. Insomma, il clima dentro la maggioranza. Per dirne un’altra: Alessandro Maran, relatore di Scelta civica sul finanziamento pubblico, ieri si è dimesso per protesta contro le dichiarazioni di Renzi sui «partitini dell’uno per cento». La prudenza insomma suggerisce di non procedere ora al rimpasto.
Benché Enrico Letta desiderasse presentarsi mercoledì prossimo a Bruxelles, al vertice con la Commissione Ue, forte di un nuovo programma e di una squadra rinforzata, dovrà rimettere nel cassetto i suoi progetti. Intanto addio rimpasto, almeno per ora. La partita delicatissima sulla legge elettorale, con i partiti più piccoli sul piede di guerra, sconsiglia di aprire un altro fronte di trattativa. I piccoli potrebbero sfruttare l’occasione per lucrare posti nel governo giocando al ricatto sulla legge elettorale o viceversa. Così Letta si è acconciato a posporre il ritocco all’esecutivo a dopo l’approvazione alla Camera dell’Italicum. Quanto a “Impegno 2014”, il contratto di coalizione, la partita è ancora apertissima. Il premier in teoria l’avrebbe già preparato, ma l’ennesima sorpresina gli è arrivata ieri da Renzi. Il Pd farà la prossima settimana una segreteria per preparare un documento con le richieste da inserire nel programma, poi — forse giovedì o venerdì prossimi — sarà convocata una Direzione per discutere e approvare il papiello. Ergo, Letta dovrà presentarsi a Bruxelles a mani vuote. L’ennesimo sgarbo? Niente affatto, giurano dal Nazareno. «Non c’è da parte nostra alcuna volontà dilatoria — assicura Marianna Madia, membro della segreteria — ma ci sono dei tempi tecnici insopprimibili. E non è pensabile che la Direzione non si esprima su un documento così importante». Se non lo facessimo, obiettano ancora dall’entourage del leader democratico, «la minoranza interna ci accuserebbe di voler calare dall’alto una decisione fondamentale ». Il fatto è che Letta non intende piegare ancora la testa. Non sul programma. Per cui ha deciso che tirerà dritto, casomai ritoccando successivamente “Impegno2014” con le proposte del Pd.
I 5 Stelle votano per il proporzionale. L’articolo del Corriere della Sera a firma di Emanuele Buzzi:
Alla fine tra i Cinque Stelle trionfa il caro, vecchio proporzionale, il sistema — per intenderci — della Prima Repubblica. Ieri c’è stata una accelerazione per la scelta del modello di legge elettorale voluto dai cittadini «certificati sul blog». Gli attivisti sono stati chiamati a scegliere tra maggioritario e, appunto, proporzionale. Il risultato è stato schiacciante: in 20.450 si sono schierati per il metodo pre-Mattarellum mentre 12.397 hanno sostenuto l’altro sistema. I votanti in tutto sono stati 32.847: una netta crescita (circa il 30% in più) rispetto ai 24 mila militanti che hanno espresso la loro preferenza sull’abolizione del reato di clandestinità. Nulla di definitivo, però. Si tratta di una prima tappa — dopo le delucidazioni di Aldo Giannuli sul sito e sul canale web La Cosa — per arrivare al modello pentastellato da sostenere in Parlamento. «Per fine febbraio la legge elettorale del M5S nelle sue linee essenziali sarà pronta», assicura Beppe Grillo, che prende la palla al balzo per attaccare l’incontro tra Renzi e Berlusconi. «Informazione e condivisione sono le parole della democrazia, ignote ai partiti che si riuniscono nelle loro sedi tra pregiudicati, pagate dai finanziamenti pubblici, in privato, per decidere le sorti di 60 milioni di cittadini italiani trattati come sudditi, tenuti fuori dalla porta del Potere», punge il leader.
E sempre sul blog Grillo replica al segretario democratico, che alla direzione del Pd aveva accusato il Movimento di «fuggire» dal confronto. «Il M5S ha il difetto della coerenza, gravissimo in un Paese in cui la madre dei quaquaraquà e dei bulli di provincia è sempre incinta», attacca il fondatore dei Cinque Stelle. «Chi scappa? Chi non rispetta i referendum? Chi disattende il programma con cui si è presentato ai cittadini? Chi non prende neppure in esame le leggi di iniziativa popolare?», incalza il leader. E sostiene: «Noi facciamo i fatti, manteniamo le promesse, gli altri fanno solo pugnette, in particolare i segretari del PDexmenoelle che cambiano ad ogni stagione ma in realtà non cambiano mai». Solo una prima puntata, facile che oggi a Roma, alla conferenza in programma all’Associazione della stampa estera (trasmessa in streaming sia sul blog sia sul sito dei parlamentari, ndr ), arrivi il bis. Ieri Grillo è arrivato nella capitale e ha cenato con i responsabili della comunicazione, i capigruppo e i parlamentari impegnati con lui sul palco questa mattina.
Da Zio Ciro a Pummarola Così la camorra spa gestiva le pizzerie romane. L’articolo del Corriere della Sera a firma di Giovanni Bianconi:
Per i cultori dei misteri criminali romani c’è la suggestione del luogo: una delle pizzerie sospettate di essere patrimonio occulto della camorra è in piazza Sant’Apollinare, di fronte alla basilica dov’era sepolto Enrico De Pedis, il boss della banda della Magliana. Ma naturalmente è solo una coincidenza, scherzi degli intrecci fra toponomastica e storie di malavita. Non lo sono invece — a leggere le carte dell’accusa — gli investimenti del clan Contini nella capitale, utilizzati per riciclare denaro e guadagnarne altro, attraverso piatti tipici della cucina napoletana e locali dai nomi di immediato richiamo: Pizza Ciro , P ummarola & Drink , Zio Ciro Mangianapoli , Il Pizzicotto , Jamm ja , La Pastarella . Quasi tutti nel centro storico di Roma, tra il Pantheon e i palazzi del potere.
C’è la trattoria in via della Mercede dove mangiava spesso Romano Prodi, che aveva casa proprio lì accanto; c’è un ristorante famoso di corso Rinascimento, a due passi dal Senato; un’osteria in via della Vite che piace alla gente di spettacolo. Tutti da ieri sotto sequestro, anche se resteranno aperti e, anzi, gli avventori saranno pure più garantiti perché i carabinieri che hanno eseguito i provvedimenti hanno già fatto intervenire gli specialisti dei Nas per controllare le condizioni igieniche. Ma non potranno più funzionare da cassaforte della camorra, se l’indagine della Procura antimafia di Roma e dei carabinieri del Reparto operativo sarà confermata nei prossimi gradi di giudizio. Per adesso la sezione misure di prevenzione del tribunale ha accolto la richiesta di sequestro di beni mobili e immobili per un valore stimato in oltre 250 milioni di euro; la più imponente operazione di questo genere mai avvenuta nella capitale. Confermando la tesi sostenuta dai pubblici ministeri in questa sorta di pizza connection in salsa campana: le attività commerciali facenti capo alla famiglia Righi, tre fratelli inquisiti a Napoli per concorso esterno in associazione camorristica che — sostiene l’accusa — a Roma gestivano più di venti esercizi commerciali anche per conto del clan Contini. Guidato da Edoardo Contini, detto O’ romano , rinchiuso al «carcere duro» dal 2007, quando la Squadra mobile di Napoli mise fine alla sua latitanza.
Condoni fiscali, rate e giudici distratti. L’Italia degli evasori senza punizione. L’articolo del Corriere della Sera a firma di Gian Antonio Stella:
Sia chiaro: la figlia del palazzinaro Renato Armellini, il «re del mattone» per il quale fu adattato («Quod non fecerunt barbari, fecerunt Armellini») un antico e feroce adagio contro la famiglia Barberini, è innocente finché non sarà condannata nei tre gradi di giudizio. Auguri. Come ricorda il Messaggero , tuttavia, non solo il padre finì in numerose inchieste giudiziarie per bancarotta e truffa, e si sa che le colpe non possono ricadere sui figli, ma lei stessa «nel 1991, assieme al padre e alla sorella Francesca, era rimasta coinvolta in una frode fiscale e falso in bilancio per oltre 500 miliardi di lire. E ancora, nel 1996, la donna fu coinvolta, assieme all’ex marito Alessandro Mei, in una bancarotta fraudolenta da 200 miliardi di lire». Insomma, non è nuova a grattacapi del genere.
Un’Ansa del 1996 ricorda: «Un’amnistia “salva” dal Fisco gli eredi del costruttore Armellini. La settima sezione del Tribunale di Roma ha infatti concesso l’amnistia ad Angiola, Francesca ed Alessandra Armellini, figlie di Renato, imputate di evasione fiscale e falso in bilancio per avere occultato — secondo quanto afferma l’associazione Codacons in un comunicato — profitti per circa 1000 miliardi di lire. In seguito ad una denuncia di un collaboratore di Armellini gli inquirenti indagarono su quattro società che attraverso un gioco di fusioni e accorpamenti e false partecipazioni avrebbero occultato profitti di un’attività edilizia molto vasta: ben 2.500 appartamenti costruiti e venduti nella Capitale. La Guardia di finanza accertò nel 1988 l’evasione fiscale e le falsità compiute per nascondere i profitti. Le eredi di Renato Armellini hanno ottenuto un condono per 10 miliardi rateizzati al posto dei 350 miliardi evasi. Nel corso del processo i difensori hanno sostenuto che la somma sborsata dagli Armellini era sufficiente perché nessun ufficio fiscale aveva inviato un avviso di accertamento dei redditi evasi. Così come nessun giudice aveva inviato entro il novembre ‘92 un decreto di citazione a giudizio. In casi del genere, hanno spiegato gli avvocati, il condono si ottiene pagando un’imposta sul 20% di quanto dichiarato nella denuncia dei redditi».
Come mai, chiedeva furente l’associazione dei consumatori avvertendo che avrebbe denunciato tutti, «queste fortune capitano solo ai palazzinari? Come mai l’ufficio delle imposte ha omesso di notificare agli Armellini gli avvisi di accertamento per i profitti occultati? Come mai il giudice istruttore ha lasciato trascorrere due anni prima di ordinare il rinvio a giudizio? Come mai il presidente della settima sezione ha lasciato passare un altro anno prima di citare a giudizio gli Armellini?».
Dice oggi la Finanza che la signora, pur avendo portato nel 1999 la residenza a Montecarlo e risultando cittadina monegasca fino al 2010, risulta aver vissuto dapprima «senza dichiararlo, in un’ampia villa all’Eur e, successivamente, in un lussuoso appartamento su due piani intestato a società lussemburghesi» nel centro di Roma, neppure «classificato come civile abitazione».