ROMA – Corrado Zunino per Repubblica confeziona il ritratto di Manlio Cerroni, 87 anni, il Supremo, il re della monezza, il proprietario di Malagrotta, il proprietario di 114 discariche nel mondo, uno dei sette arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio.
Ora che Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, è chiusa, l’hanno arrestato. Manlio Cerroni, 87 anni, il Suv guidato con la mano sinistra mentre controllava ogni giorno la sua discarica resa inerte (l’altroieri) dal sindaco Marino, si riteneva intoccabile. Lo credevano un intoccabile i suoi dipendenti, amministratori delegati, presidenti dei consigli di amministrazione delle 66 società fondate. Il Supremo, lo chiamavano. Tutti. Laurea in Giurisprudenza, tre volte sindaco di Pisoniano fra i Monti Prenestini, cresciuto nella Dc di Amerigo Petrucci, il primo affare nel 1959. Grazie a una leggendaria carriera che ha attraversato nove sindaci di Roma, Cerroni si è permessso di sbeffeggiare per lettera il penultimo, Gianni Alemanno, assicurandogli che quella missiva l’avrebbe trasformata in una tavoletta di marmo, «così anche i marziani, quando scenderanno sulla terra, si renderanno conto di quello che io ho fatto per Roma». Ai suoi, d’altronde, diceva (lo rivelano le intercettazioni dell’inchiesta): «Scusa, danno la cittadinanza onoraria a Napolitano… Perché, ha fatto più Napolitano che io pe’ Roma?».I successi di Cerroni sono cresciuti insieme alla sua megalomania. «Sono un benefattore», ricordava a ogni politico piegato, sovvenzionato. A ogni nuovo sito aperto, soldi contanti. Attorno a Malagrotta, un buco gigantesco realizzato a metà dei Settanta dagli scavi necessari per costruire la terza pista dell’aeroporto di Fiumicino, fondò un impero di cui non si riesce a vedere l’orizzonte. Oggi conta centoquattordici — 114 — discariche nel mondo. Barcellona, Oslo, Il Cairo, Rio de Janeiro. Sono, dati 2012, due miliardi di fatturato l’anno quando l’intero giro d’affari dell’immondizia italiana è di sei miliardi, criminalità compresa. Malagrotta, quadrante ovestdi Roma, un persistente odore dolciastro da Massimina a Torrimpietra, è il centro di tutto, l’inizio del viaggio imprenditoriale. Nel 1965 sito industriale — ancora oggi ci sono un gassificatore, una raffineria, un inceneritore per rifiuti ospedalieri, quattro impianti per lo stoccaggio dei carburanti, diverse cave —, dieci anni dopo diventa il cratere artificiale più grande nel continente,via via sempre più grande: Malagrotta uno, due, tre. Duecentoquaranta ettari, trecento campi di calcio, su cui volano sempre i gabbiani. Diverse le autorizzazioni temporanee, nel 2001 quella definitiva. «Non possono farne a meno», diceva ai suoi, i Rando, i Giovi, i Sicignano, esecutori d’ordini oggi tutti dentro le carte giudiziarie, «senza di me Roma viene seppellita dalla spazzaturain una settimana, altro che Napoli ». Teneva bassi i costi, e ricattava una città. Boicottava la raccolta differenziata: l’inchiesta ne ha trovato tonnellate buttate nella sua discarica, tal quale da bruciare sprigionando nuove esalazioni. E s’arricchiva. Non si fermava, come la sua spazzatura, neppure nei festivi: era a vigilare su Malagrotta anche la domenica. «Sono creditore dalla collettività di 1.825 giorni di ferie».Le inchieste giudiziarie sul Supremo sono antiche. Il primo che mise le mani sopra questa romanissima zuppa di convenienze politiche ed estorsioni imprenditoriali fu il pretore Gianfranco Amendola, settembre 1985. Voleva comprendere perché il Comune di Roma si era comprato a prezzo caro due impianti (di Cerroni) mischiando bilanci pubblici e privati. La procura avocò a sé e in otto anni non riuscì ad affiancare un testimone a quelle gare vinte sempre in solitudine. Archiviato. Le inchieste di queste ore somigliano in maniera raggelante a quelle di trent’anni fa e segnalano trent’anni di politica romana così presente — alle cene, agli affari di Cerroni — da lasciare ogni amministrazione ambientale in mano a un uomo solo. Il presidente della Regione Lazio dal marzo 1993 ad aprile 1994, Bruno Landi, socialista di “Riformismo e libertà”, lo avvicinò a tal punto da diventare amministratore della sua Ecologia Viterbo. Negli Anni Ottanta gli appalti di Malagrotta passavano dal tavolo dell’andreottiano Elio Mensurati e del craxiano Paris Dell’Unto, oggi a Cerroni basta finanziare alcuni ambientalisti, nominare presidente della società di pallavolo possedutaChicco Testa, fondare una tv locale all news (RomaUno) e tenersi stretti funzionari regionali sempre in carica, anche con il governo Zingaretti. L’ingegner Fabio Ermolli, già nella Systema Ambiente di Cerroni, è ancora il controllore della spazzatura che entra ed esce dalle discariche romane.In cinquantacinque stagioni di affari — iniziò alla vigilia delle Olimpiadi di Roma, mise d’accordo e si mise in tasca gli artigianali imprenditori della spazzatura della capitale —, Manlio Cerroni non si è mai quotato né indebitato, non ha una banca di riferimento. E non ha mai accettato offerte parlamentari. Gli è bastato vivere di rifiuti e dalle sue colline controllare la politica. Cerroni, in queste ore, è al centro di quattro inchieste penali convergenti: reati ambientali, traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata, frode, associazione per delinquere, abuso d’ufficio, falso. Non è difficile comprendere che questi segni erano già stati incisi sul terreno trent’anni fa.