ROMA – “Volta&Gabbana”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano del 10 dicembre:
“Ora cambia tutto” è il Commento Unico e Unanime che sale da un capo all’altro dello Stivale dopo la vittoria di Renzi alle primarie del Pd. Di certo cambiano il segretario, il gruppo dirigente, il linguaggio e gli obiettivi del primo partito italiano. Ciò che non cambia è il ceto giornalistico, intellettuale e finanziario italiano, già comodamente assiso sul carro del nuovo vincitore. Basta consultare le rassegne stampa di un anno fa sulle primarie per il candidato premier del centrosinistra e sostituire la parola “Renzi” con la parola “Bersani”, per vedere le stesse firme degli stessi giornali riservare allo smacchiatore di giaguari gli stessi aggettivi roboanti, gli stessi servi encomi, le stesse leccatine di piedi che oggi dedicano al suo rivale di allora.
Cos’è cambiato? Una sola cosa: in quelle primarie Renzi era sfavorito, in queste era favorito. Il salto sul carro del vincitore si conferma lo sport prediletto delle classi dirigenti italiote. Otto mesi fa i giornaloni erano impegnatissimi nel-l’incensare Napolitano, Letta e B., statisti e artefici delle Larghe Intese per la Pacificazione e la Grande Riforma costituzionale. E guai a evocare l’“inciucio”: scattava implacabile la scomunica. Ora gli eterni voltagabbana turibolano Renzi che maledice l’inciucio, archivia le larghe intese, sbeffeggia la riforma costituzionale con “saggi” incorporati e snobba i diktat di Napoletta. I giornalisti Rai– la specie animale dotata di antenne più sensibili per captare l’aria che gira e di più spiccate doti mimetiche e transumanti – sono stati i primi a mettersi a vento: un mese fa, ospite di Santoro, Renzi li dipinse tutti intenti, prima d’intervistarlo, a coprire il microfono con la mano e a sussurrargli all’orecchio: “Oh, Matteo, io sono sempre stato dalla tua parte”.
Anche quando troneggiavano sui carri di Veltroni, D’Alema, Bersani, Fassino, Prodi o direttamente di B. Un discorso a parte meritano i colleghi dell’Unità, che non riescono più a svegliarsi un mattino dalla stessa parte in cui si sono addormentati la sera prima. Nel giro di 12 mesi han dovuto passare dal bersanismo al renzismo, ingoiare il “governo di cambiamento” appoggiato da Sel e 5Stelle, le larghe intese con Berlusconi, le strette intese con Alfano-Cicchitto-Giovanardi e ora il vangelo secondo Matteo, mezzo Fonzie e mezzo Jovanotti. Una vita infame. Il 12 dicembre 2012, nel pieno della campagna per le primarie Bersani-Renzi, il politologo Michele Prospero, noto fan di Togliatti, definiva sull’Unità la rottamazione renziana “arnese del populismo” che “nei partiti stalinisti si chiamava epurazione”, “termine di ascendenza fascistoide che non per nulla scalda Dell’Utri e Santanchè, stuzzicati dal mito della giovinezza primavera di bellezza”, “volgare arma contundente”. Quanto a Renzi, “ingiuria la propria classe dirigente, per affidare la continuità della Repubblica a Bossi, Berlusconi, Cicchitto, La Russa, Gasparri”; “è un politicante astuto, con una controversa esperienza da sindaco (la soave neve fiorentina condannò alla paralisi mezza penisola!). Non ha nulla di significativo da dire, oltre la recitazione soporifera nei teatri d’Italia sul merito e la bellezza”; “strizza l’occhio al rozzo spirito di vendetta distribuito nei bassifondi del Paese” (…)