ROMA – Marco Travaglio si interroga se la legge anti corruzione e altri delitti dei colletti bianchi, approvata il 21 maggio 2015 dalla Camera dei Deputati, sia una “buona o cattiva legge?”. La risposta che si dà, sul Fatto di sabato 23 maggio 2015, è la seguente:
“Buona e cattiva assieme”.
Segue l’editoriale, intitolato “Più pro che anti”, nel senso che la nuova legge sarebbe più a favore dei corrotti che contro. A parte la voglia, condivisa da tutti gli italiani che con le loro tasse finanziano la Grande Ruberia pubblica, do vederli tutti in galera e per sempre, anche Marco Travaglio cade nell’illusione italiana delle leggi con manette che da anni risuonano nelle nostre orecchie col solo effetto di alzare, a quel che scrivono i giornali, il prezzo della corruzione e il livello di sofisticazione delle pratiche dei corrotti.
Da anni la lezione è che non di leggi sempre nuove e sempre più cattive abbiamo bisogno ma di procedure e regole della burocrazia che funzionino, di inchieste che procedano spedite, di investigatori competenti (non puoi mandare allo sbaraglio un maresciallo della Guardia di Finanza contro avvocati del calibro di Coppi e altri professori universitari assortiti), di giudici che chiudano i processi e impediscano le tecniche dilatorie degli avvocati. Contro il farraginoso sistema giudiziario italiano tutte le più severe leggi italiane si areneranno sempre e l’unica prescrizione possibile che garantisca a giudici e avvocati le sante ferie, settimana bianca inclusa, sarà la prescrizione che estingue il reato il giorno della morte dell’imputato.
Ecco una sintesi della analisi di Marco Travaglio. La nuova legge, scrive Marco Travaglio, è
“buona anzitutto per il fatto stesso che sia stata approvata una legge con quel nome,“Anticorruzione”, in un Parlamento molto Pro, con oltre 100 fra condannati, imputati e inquisiti, senza contare i loro avvocati. Buona, poi, perché allontana per un po’ i condannati dai rapporti con la Pubblica amministrazione. Buona, infine, perché aumenta le pene sia massime sia minime – ora di poco, ora di molto – per la corruzione, il peculato e l’associazione mafiosa (non però per la concussione, la corruzione internazionale e l’autoriciclaggio); dunque sposta in avanti – ora di poco, ora di molto – la scadenza della prescrizione, notoriamente calcolata sul massimo della pena”.
Arrivato a questo punto, Marco Travaglio si ferma e si chiede:
“Basta tutto ciò per cantare vittoria, come fanno i tg e i giornaloni, o addirittura per dire che “stiamo cambiando l’Italia” e che “la prescrizione non sarà più possibile” come fa Renzi?”.
La risposta purtroppo è che “no, non basta”:
“Ci vuole ben altro per cambiare l’Italia (per esempio, escludere gli impresentabili dalle proprie liste anziché imbarcarli a vagonate come fanno FI, Ncd e Pd), e anche per rendere impossibile la prescrizione. Purtroppo, al di là della propaganda, le note dolenti sono prevalenti.
1) La corruzione più grave, quella per atto contrario ai doveri d’ufficio (cioè il delitto del pubblico ufficiale che viola la legge e abusa del proprio potere in cambio di soldi o favori), oggi punita fino a 8 anni, lo sarà fino a 10. Prescrizione impossibile? Macché: allungata di soli 2 anni, troppo pochi per garantire la conclusione del processo, specie nei tribunali più intasati.
Idem per le fattispecie di corruzione meno gravi, cioè quelle di chi si fa pagare per un atto dovuto o comunque non illegale.
2) Il governo ha scriteriatamente stralciato la riforma generale della prescrizione, che arriverà solo dopo le elezioni: e lì Ncd,in cambio del suo ok all’Anticorruzione, ha già ottenuto che se ne riducano vieppiù i modici effetti positivi. Cioè: con una mano (Anticorruzione) il governo allunga la prescrizione, e con l’altra (Riforma della prescrizione) si appresta ad accorciarla di nuovo. Roba da schizofrenici, o da delinquenti. Resta da capire per quale motivo l’Italia sia l’unico paese al mondo dove la prescrizione continua a galoppare anche dopo il rinvio a giudizio, e persino dopo la condanna di primo e financo di secondo grado. O forse lo si capisce benissimo.
3) Il ddl Grasso modello-base metteva fine al pastrocchio della legge Severino, che salva quasi tutti i concussori col trucchetto del nuovo reato di induzione indebita, punibile solo quando si dimostra un vantaggio non solo per l’induttore, ma anche per l’indotto (vedi Berlusconi che chiama il funzionario della Questura per far rilasciare Ruby e viene assolto perché i vantaggi li ha avuti solo lui e non il funzionario). Ma il testo finale questo passaggio se l’è bellamente mangiato.
4) Il falso in bilancio torna, è vero, a essere un reato sempre perseguibile d’ufficio, senza bisogno della denuncia del socio. Ma quasi soltanto sulla carta. Le pene, dopo le pressioni delle lobby di Confindustria e delle banche, ascoltatissime a Palazzo Chigi, sono ancora troppo basse. Specie per le società non quotate, che poi sono la stragrande maggioranza. Non solo: il falso è reato quando riguarda “fatti materiali” taroccati od omessi nei libri contabili, mentre inspiegabilmente non lo è sulle “valutazioni”mendaci. Risultato: niente custodia cautelare per evitare inquinamenti probatori, fughe o ripetizioni del reato; niente intercettazioni telefoniche e ambientali; e prescrizione pressoché assicurata per tutti. Insomma una legge-spot che rende difficilissimo scoprire i bilanci falsi, improbabile preservare intatte le prove e quasi impossibile punire i colpevoli in tempo utile. Ma, anche nel caso eccezionale che si arrivi a una condanna, fra attenuanti e sconti vari, il condannato non farà un giorno di galera.
Nemmeno per le società quotate: basti pensare che la pena massima, almeno sulla carta, è 8 anni, e la minima è 3: siccome di fatto le pene finali medie si attesteranno sui 4-5 anni, e le ultime leggi svuotacarceri prevedono la cella per le pene superiori ai 5, tutti i condannati resteranno a piede libero.
5) Giusto prevedere attenuanti (con sconti fino a 2 terzi della pena) per i corruttori pentiti che denunciano spontaneamente i corrotti ancora ignoti ai giudici, ma – salvo crisi mistiche – non è questa la strada migliore per rendere più difficile la vita ai ladri in guanti gialli. La via maestra è quella seguita negli Stati Uniti: il “test di integrità”, cioè la presenza di agenti provocatori che inducono in tentazione politici e amministratori offrendo loro tangenti, per saggiarne la correttezza o la corruttibilità. Chi ci casca, finisce dentro. La prospettiva ha giustamente terrorizzato i parlamentari della maggioranza, che infatti hanno respinto con orrore l’apposito emendamento dei 5Stelle. Evidentemente si conoscono bene, o almeno conoscono bene i propri alleati e vicini di banco. E hanno voluto evitare che il Parlamento si svuotasse da un giorno all’altro per traslocare a Regina Coeli.