Marco Travaglio: su Renzi-Obama cronache esilaranti di complimenti fotocopia

Marco Travaglio: su Renzi-Obama cronache esilaranti di complimenti fotocopi
Obama e Renzi. Per Marco Travaglio le cronache dell’incontro sono da barzelletta

ROMA – Marco Travaglio trasforma il suo editoriale sul Fatto di domenica 19 aprile 2015 in una esilarante rassegna stampa di come i giornali e i giornalisti italiani sanno adeguare ai tempi e aggiornale le cronache del regime. Ne esce una galleria di articoli di involontaria ma travolgente comicità. Lo spunto è dato dai resoconti del viaggio di Matteo Renzi a Washington e del suo incontro col presidente Usa Barack Obama.Scrive Marco Travaglio:

Quella di scambiare qualche sorriso, qualche pacca sulle spalle,qualche convenevole, qualche parola di circostanza, cioè l’ordinaria amministrazione dell’arte della diplomazia, per formidabili aperture di credito non è una novità, per la stampa più servile e provinciale del mondo. Basta cercare su Google le parole chiave “Obama” e “premier italiano” per scoprire che, da quando è presidente, secondo i giornali italiani Obama s’è innamorato di tutti i nostri premier.

Questo non è vero, manca un dettaglio: da quando Berlusconi non è più primo ministro. Fino a quel momento, le cronache davano ampio resoconto di come Obama manifestasse la sua ostilità, con un fondo di disprezzo, per Berlusconi, aiutati dalle sue gaffes: non c’era bisogno di forzature cronistiche, come pure avveniva nel caso di Angela Merkel e di Elisabetta regina di Inghilterra. Caduto Berlusconi, è vero, entra in campo Pindaro, ma è anche vero che il nuovo corso è giustificato dal sollievo per Obama di avere davanti un italiano nel cliché servile e alla ricerca di consenso e non l’arrogante miliardario Berlusconi. Cpsì ha inizio la rassegna stampa di Marco Travaglio:

19 gennaio e 9 febbraio 2012: “Obama promuove Monti”. 18 ottobre 2013: “Obama promuove Letta”. Pure Merkel, Hollandee tutti gli altri capataz mondiali non fanno che “promuovere” gli ometti che si succedono a Palazzo Chigi, immancabilmente“ colpiti” e “impressionati”dalle loro “riforme”, ovviamente“ strutturali” e all’insegna della“crescita”.

Appena vide Monti, Obama proruppe: “Ho piena fiducia nella leadership di Monti e voglio solo dire quanto noi apprezziamo la poderosa partenza e le misure molto efficaci che sta promuovendo il suo governo”.Un anno e mezzo dopo, al cospetto di Letta, non riuscì a trattenersi: “Non potrei essere più colpito dall’integrità, dalla profondità di pensiero e dalla leadership di Enrico Letta”. L’altro ieri toccava a Renzi, ultimo leader europeo ricevuto alla Casa Bianca dopo 14 mesi di anticamera punitiva per la sua politica estera filorussa, in perfetta continuità col putinismo berlusconiano. E Obama ha reinserito il pilota automatico: “Sono molto colpito dall’energia di Renzi e impressionato dalle sue riforme”, ovviamente per la“crescita”. Ancora una volta i giornali perdono la memoria, i freni inibitori e soprattutto le bave.

La Stampa, pagina 1: Paolo Mastrolilli sottolinea “la chimica personale nata tra Barack e Matteo”. Anche perché Matteo Zelig ha detto a Obama che “l’America è il mio modello”, esattamente come aveva detto alla Merkel “la Germania è il mio modello”. E meno male che non è ancora andato in Grecia.

La Stampa, pagina 3: riecco “la buona ‘chimica’ emersa tra i due”, stavolta a firma di Paolo Baroni e Fabio Martini. Nel giornale della Fiat si gioca tutti al Piccolo Chimico,senza neppure sincronizzare i sostantivi e le lingue. E poi via, una profluvie di Renzi “Obama italiano”, anzi “Matteo l’Amerikano”: “usa lo stesso acronimo, Jobs Act, per restituire lavoro e spazio ai giovani” e pure “la deregulation” che cancella l’articolo 18, “un passo avanti verso la modernità, molto americana”.

Con la diffe-renza che Obama ha creato milioni di nuovi posti di lavoro, mentre il Jobs Act all’italiana solo13 (non milioni: unità). Ma questo non si dice. Si va di turibolo, tra “il sogno americano”,“la forza di sfidare il futuro puntando sulla crescita”: pure il Quantitative Easing di Draghi e il Piano Junker li ha inventati Renzi.

Su Re p u b b l i ca ,poi, Francesco Bei si bea: “‘Caro Matteo’,‘Caro Barack’. Era dai tempi dell’idillio Bush-Berlusconi che non si vedeva tanto calore. La chimica è scattata”. E te pareva. Renzi scopre che Obama lo copia: “Ha usato le stesse parole che ripeto io a ogni Consiglio europeo”. Sarà l’Nsa che spia tutti? Poi c’è la perfetta “sintonia sulla crescita, quasi un atto di accusa alla Germania. Mentre a casa i Fassina e i Landini lo dipingono come servo della Merkel, Renzi viene apprezzato dagli americani come l’antagonista europeo del rigore”. Non dite a Bei le parole esatte di Obama: “Io non critico la Merkel, grande alleata. Renzi è sulla strada giusta avendo avviato le riforme che vi chiedeva la Merkel”. Quindi è Obama, non Landini e Fassina, a dargli del servo della Mer-kel.

Bei però è troppo beato per accorgersene: “Il body language della conferenza stampa, i segni del linguaggio del corpo, il ‘tu’ confidenziale, puntano tutti nella stessa direzione”.

Qui, spiega Marco Travaglio, you equivale anche a ‘lei’, ma lui, cioè Renzi, non lo sa. Ma nemmeno Travaglio conosce il vero uso del tu e del voi in inglese.

E “la stretta di mano”? È “una presa amichevole, come fanno i ragazzi tra di loro, con l’avambraccio in verticale”. E la lingua in orizzontale, supportata da foto e didascalie: “Alcuni gesti con le mani di Obama e Renzi sono apparsi curiosamente simili”. “Kerry fa ungesto di approvazione alla delegazione italiana”. Poi “Obama cinge le spalle di Renzi”, finale chapliniano. Matteo ringrazia Barack nel suo impeccabile inglese oxfordiano: “Sei stato molto ispirational”.

E Obama – gli legge nel pensiero Bei – si sente “un europeo travestito”, anzi un “italiano onorario”in America, come l’Alberto Sordi di Uozzameregaboys!, grazie ai vini che Renzi ha donato, “il top dei vitigni toscani”, e han fatto subito effetto. Soprattutto sul cronista: “Renzi ha trascorso le sue 36 ore washingtoniane a vivere per intero il film in cui il protagonista era lui stesso. Come una puntatadi House of cards, la sua serie pre-ferita. Non a caso, come Frank Underwood, la giornata di Renzi ha inizio con una corsa di un’ora lungo i prati che portano da Capitol Hill, passando sotto il grande obelisco, fino al Lincoln Memorial”. Praticamente, un ameregano del Kansas Sity.

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