ROMA – “Ziotom@governo.it”, è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano:
Cari fans, come ho detto nel videomessaggio di venerdì ai sindacati, noi non siamo interessati a uno scontro ideologico sul passato, perché non ci preoccupiamo della Thatcher, ma di Marta e di Giuseppe. L’articolo 18 garantisce lavoro a chi già ce l’ha e non a chi non ce l’ha, creando cittadini di serie A e cittadini di serie B. Per colmare questa diseguaglianza inaccettabile, noi potremmo fare qualcosa per garantire il lavoro anche a chi non ce l’ha, ma sarebbe banale. Perciò preferiamo battere la strada più originale e innovativa: garantire a chi ha un lavoro la certezza di perderlo quanto prima, anche senza giusta causa. Del resto, chi siamo noi per giudicare sulla giustezza di un licenziamento? Mica possiamo costringere un datore di lavoro a tenersi un lavoratore che gli sta sul hazzo. Se gli sta sul hazzo, come giusta causa mi pare sufficiente.
Conosco molti imprenditori che assumerebbero un sacco di giovani, se sapessero di poterli licenziare ancor prima di assumerli. Io, per esempio, a mio padre stavo parecchio sul hazzo. Infatti, dopo una vita da co.co.co., mi assunse come dirigente un minuto prima che mi candidassi alla Provincia di Firenze: tanto si sapeva che sarei stato eletto, mi sarei levato dai hoglioni e i contributi li avrebbe pagati la Provincia, mica lui. Una forma di contratto a tutele crescenti ante litteram: appena cresci, entri in politica a carico dei contribuenti. Ecco, cari Marta e Giuseppe: prendete esempio da Tiziano e Matteo. La finalità sociale dell’impresa, checché ne dica la Costituzione che non a caso stiamo riformando in versione 2.0 per farne una Selfieconstitution, praticamente una SmartCard, è questa: assumere e subito licenziare più lavoratori possibili. A fine anno, chi ne avrà assunti e licenziati di più vincerà una cena con la Boschi. Il secondo classificato, con la Picierno. Il terzo, con la Pinotti. L’ultimo con Orfini, così impara.
Basta con le vecchie dispute ideologiche, i totem e i tabù. E non mi riferisco solo all’articolo 18. Ma anche al mito dello stipendio: chi l’ha detto che chi lavora debba essere pagato? È una bella pretesa! Ma come, io mi sacrifico per darti un lavoro e tu, esoso, dopo un mese vieni subito a battere cassa? Bella riconoscenza. Non avete idea di quanti giovani assumerebbero le aziende senza il fastidio di stipendiarli. Perciò, dopo il Jobs Act, stiamo approntando lo Spartacus Act per ripristinare il lavoro obbligatorio e gratuito. Ora qualche sindacalista gufo, ancorato agli schemi del passato, parlerà di schiavismo: noi preferiamo “servizio civile a costo zero”. Conosco imprenditori, tipo mio padre, che dovendo distribuire giornali per le strade davano un lavoro da strilloni a un sacco di precari ed extracomunitari più o meno clandestini, provenienti da paesi che hanno superato da tempo i miti del posto fisso, del contratto e dello stipendio. Non per nulla, in 30 anni ha avuto 10 società e un solo dipendente: io.
Cari sindacati, dov’eravate mentre noi sperimentavamo su strada (fra Santa Maria Novella e Palazzo Vecchio) questa nuova forma di flessibilità? Chi intendesse delegittimarla con formule obsolete, tipo “lavoro nero”, si rassegni: dopo il Jobs Act e lo Spartacus Act, il governo ha pronto il superemendamento KuntaKinte, come sempre aperto ai vostri suggerimenti: scriveteci a zio tom@governo.it . Dopodiché – come ci chiede l’Europa, che non deve darci ordini perché noi li anticipiamo – passeremo a sfatare il più ideologico e pernicioso dei tabù che frenano la crescita e bloccano la ripresa: la pensione. No, non sarà la solita riforma per ritoccare questo o quel dettaglio, ma una scelta molto più radicale: l’azzeramento. Se già quella di essere pagati quando si lavora è una pretesa che non possiamo più permetterci, figurarsi quella di essere pagati quando si smette di lavorare. Troppo comodo (…)
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