Paolo Becchi, grillino che rilancia la “prorogatio” del governo tecnico di Monti

ROMA – Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, e collaboratore per il blog di Beppe Grillo, rilancia l’idea di una “prorogatio” del governo tecnico di Mario Monti. Becchi, in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera di martedì 5 marzo, riassume i termini della sua proposta: “C’e’ il governo attualmente in carica, dimissionario, il quale ha competenze limitate all’ordinaria amministrazione e che resterà in carica fino a che non avrà passato la consegna al nuovo, eventuale governo”. In questo scenario, “le forze politiche possono prendere atto che non sarà possibile formare nessun nuovo governo – per evidenti ragioni politiche e di numero – Quindi si potranno, diciamo così, inscenare uno o più tentativi di mandato esplorativo, aprire cioè le consultazioni per un tempo indeterminato, ed intanto avere il governo dimissionario in prorogatio per gli affari correnti”.

Un intervento che però aumenta il clima di confusione. Ecco la lettera di Paolo Becchi al Corriere della Sera:

C’è stata in questi giorni un po’ di confusione sulla possibilità, che avevo ipotizzato intervenendo su Il Secolo XIX e poi in rete, di una prorogatio del governo. Nessuno nega, ovviamente, che un nuovo governo debba avere la fiducia delle Camere. Ma qui non si tratta di formare un Monti-bis, a cui rivotare la fiducia. È un’altra cosa. In questo momento, mentre io parlo, non è che non abbiamo un governo in Italia. C’è il governo attualmente in carica, dimissionario, il quale ha competenze limitate all’ordinaria amministrazione e che resterà in carica fino a che non avrà passato la consegna al nuovo, eventuale governo. Questo, e solo questo, significa prorogatio del governo. Niente altro. È semplicissimo: è un principio ovvio di continuità istituzionale: i governi si succedono l’uno con l’altro senza «soluzione di continuità». È ovvio che il presidente della Repubblica, visto che sono state elette nuove Camere, dovrà dare un mandato esplorativo, o un pre-incarico, per la formazione di un nuovo governo che dovrà ottenere la fiducia. Ma cerchiamo di capirci. Anzitutto, le consultazioni che si aprono non hanno un termine stabilito dalla Costituzione o dalla legge. In secondo luogo: il nuovo governo sostituisce quello in prorogatio solo nel momento in cui il presidente del Consiglio e i ministri prestano giuramento nelle mani del capo dello Stato, secondo quanto dispone l’art. 93 della Costituzione.

A partire dal giuramento, quindi, il governo nuovo entra in carica, e sostituisce quello dimissionario. Tant’è che solo a conclusione di questo procedimento viene emanato il decreto del presidente della Repubblica di accettazione delle dimissioni del governo uscente. Finora, ovviamente, il decreto non è stato emanato: il governo Monti è dimissionario, ma non sono state accettate le sue dimissioni. Infine, un ultimo passaggio: il nuovo governo che ha giurato deve presentarsi alle Camere entro dieci giorni ed ottenere la fiducia. Questa è dunque la situazione. Ora, la mia tesi è la seguente: le forze politiche possono prendere atto che non sarà possibile formare nessun nuovo governo — per evidenti ragioni politiche e di numero —. Quindi si potranno, diciamo così, «inscenare» uno o più tentativi di mandato esplorativo, aprire cioè le consultazioni per un tempo indeterminato, ed intanto avere il governo dimissionario in prorogatio che sbriga gli «affari correnti». Ci sarebbe, però, un Parlamento nuovo, che riacquista pieni poteri legislativi, e che potrà fare tutte le riforme ritenute necessarie: la legge elettorale, il taglio ai costi della politica, la diminuzione del numero dei parlamentari, l’anticorruzione, il conflitto di interessi e così via. Ci sono state diverse reazioni alla mia proposta, molte critiche e contestazioni. Molti cittadini comuni sono incorsi in un equivoco, leggendo la voce prorogatio su Wikipedia. Tipico equivoco da uso disinvolto di Internet. Wikipedia cita, infatti, la sentenza della Corte costituzionale n. 208/1992, e questo ha fatto pensare a molti che la Consulta abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’istituto della prorogatio del governo dimissionario.

Ovviamente la sentenza citata non c’entra nulla con il nostro caso. Riguarda, diversamente, un caso di una legge regionale che non prevedeva la prorogatio dei Comitati regionali di controllo. La Corte si limita a dire: non esiste nessun principio, desumibile dalla Costituzione o da altre leggi, che preveda la proroga di organi amministrativi scaduti oltre la loro scadenza naturale. Leggo il passo: «Ritiene la Corte che, diversamente da quanto spesso si ritiene con opinione tralatizia, dal complesso normativo vigente non è possibile desumere che quella della c.d. prorogatio di fatto, incerta nella sua durata, costituisca regola valevole in generale per gli organi amministrativi». La sentenza è, peraltro, stata superata da altre pronunzie della Corte costituzionale. La Corte è intervenuta di recente, ad esempio, sulla prorogatio degli organi politici regionali (sentenza n. 68 del 2010), precisando il concetto di atti di «ordinaria amministrazione» che l’organo politico in prorogatio potrebbe adottare. Arrivo al dunque, però: la giurisprudenza della Corte costituzionale non riguarda in alcun modo il nostro problema, ossia il governo dimissionario. La sua è una prorogatio di fatto, ed è un effetto naturale ed ovvio del sistema, che assicura il succedersi continuo di un governo all’altro.

 

 

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