ROMA – Processo Sopaf, slitta la decisione del tribunale di Milano sulla richiesta di patteggiamento di Giorgio e Luca Magnoni. I giudici hanno infatti rinviato la decisione dopo le richieste di costituzione come parte civile presentate da Cassa dei ragionieri, Enpam, una settantina di azionisti Sopaf, l’ordine dei medici di Milano, i liquidatori e i commissari di Sopaf. L’Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti, non si è invece costituita come parte civile.
La prossima udienza è prevista per il 14 aprile: il tribunale dovrà decidere sia sulle richieste di costituzione di parte civile che sulla proposta di patteggiamento dei due imputati. Il processo riguarda una presunta truffa con soldi fatti sparire dalle casse di previdenza di giornalisti, ragionieri e periti commerciali.
Così Italia Oggi riassume la vicenda.
Giorgio e Luca Magnoni hanno trovato un accordo con la procura di Milano per patteggiare rispettivamente una pena di 4 anni e 6 mesi e una di 3 anni e 6 mesi. Giorgio Magnoni è coinvolto nell’inchiesta in quanto è stato vicepresidente del cda di Sopaf dal 2005 al 2012 e consigliere delegato dal 2007 al 2010, mentre il figlio Luca è stato nel consiglio di amministrazione della società dal 2005 al 2012. I due erano stati raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare nel maggio scorso, insieme ad altre cinque persone, per i reati – ipotizzati a vario titolo – di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa, appropriazione indebita e frode fiscale, in relazione al dissesto del gruppo Sopaf. Luca Magnoni a differenza del padre risponde in particolare di episodi di bancarotta. Le presunte truffe ipotizzate nell’inchiesta sarebbero state perpetrate ai danni di tre enti previdenziali: Cassa dei ragionieri, Enpam (medici) e Inpgi. La truffa ai danni dell’istituto dei ragionieri ammonterebbe a 52 milioni di euro, quella alla cassa dei medici a 15 milioni e, infine, quella per i giornalisti a 7,6 milioni di euro. Tutti e tre gli enti sono indicati come parti offese dalla procura di Milano.
Secondo Franco Abruzzo, invece, il patteggiamento è “in salita”.
Il patteggiamento (4 anni e 6 mesi per Giorgio; 3 anni e 6 mesi per Luca Magnoni) appare in salita, perché padre e figlio non hanno avviato alcuna trattativa diretta a risarcire Enpam, Cassa ragionieri e Inpgi (che è presente nel processo solo come parte offesa, mentre gli altri due enti previdenziali come parti civili). L’Inpgi, non costituendosi parte civile, afferma in sostanza di figurare solo nominalmente tra i danneggiati “avendo assunto il ruolo di soggetto terzo, totalmente estraneo ai fatti”. E conseguentemente non ha chiesto il ristoro dei danni patiti per 7,6 milioni (secondo le ipotesi accusatorie del pm Gaetano Ruta). Il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese, indiziato di truffa ai danni dell’Istituto che rappresenta, ha sempre respinto la ricostruzione istruttoria della pubblica accusa.
L’Enpam (ente di previdenza dei medici), la Cassa di previdenza dei ragionieri, 71 azionisti di Treviso, l’Ordine provinciale milanese dei medici nonché i commissari e i liquidatori della Sopaf hanno chiesto di costituirsi parte civile nel processo milanese a carico di Giorgio Magnoni e del figlio Luca, nell’ambito del “giudizio immediato” con al centro la holding finanziaria Sopaf. Nessuna richiesta di costituzione di parte civile, invece, è stata proposta dall’Inpgi (l’ente di previdenza dei giornalisti) che, invece, ha depositato, con l’avvocato Fabio De Matteis, una dichiarazione come parte offesa. Questa mossa provocherà polemiche infinite nel mondo giornalistico. L’istituto in sostanza, non costituendosi parte civile, ha rinunciato a far valere le sue pretese risarcitorie nei confronti degli imputati. Traducendo la terminologia giuridica in concetti popolari l’Inpgi afferma in sostanza di figurare (solo nominalmente) tra i danneggiati. Conseguentemente, come detto, non ha chiesto il ristoro dei danni patiti per 7,6 milioni (secondo le ipotesi accusatorie del pm Gaetano Ruta). Questa posizione processuale traduce e rispecchia un comunicato dell’Inpgi nel quale si può leggere: “L’Ente ha assunto il ruolo di soggetto terzo, totalmente estraneo ai fatti, risalenti al febbraio 2009, oggetto di accertamento”. La spiegazione – (alquanto riduttiva che non tiene conto dell’immagine della Fondazione) – fornita dal legale dell’Istituto, Fabio De Matteis, è che con l’eventuale accoglimento del patteggiamento la parte civile può ricevere come “risarcimento” solo le spese legali. “Rimane, comunque, aperta la possibilità di intentare in futuro una causa civile”. In una tranche, ancora aperta, del procedimento è indagato anche il presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, che ha sempre respinto le accuse. Questo filone dell’inchiesta dovrebbe giungere a maturazione nell’aprile prossimo. Il tribunale (presidente Giuseppe Fazio) nella udienza del 14 aprile (h 14.30) vaglierà le costituzioni di parte civile nonché la richiesta di patteggiamento dei Magnoni (4 anni e 6 mesi per Giorgio; 3 anni e 6 mesi per Luca). Il collegio non ha deciso sull’istanza di patteggiamento, ma ha chiesto chiarimenti al pm e alle parti civili in relazione “alle azioni risarcitorie, se ci sono state, da parte degli imputati”. Tutti i soggetti che hanno chiesto di essere riconosciuti parte civile (con gli avvocati Alessandro Diddi, Elena Manfredi, Francesco Murgia, Enrico Pennasilico e Gaetano Scalise) hanno spiegato di non aver ottenuto alcun risarcimento, mentre il pm ha chiarito che la proposta di patteggiamento è, comunque, “meritevole di accoglimento” perché i Magnoni hanno messo a disposizione i loro beni (6,1 milioni, ndr) nell’ambito della procedura concorsuale della società (conclusasi con il concordato preventivo) e “non mi risulta abbiano disponibilità finanziarie aggiuntive”. C’è molta incertezza sulla decisione del tribunale sul punto. Per ora sono in ‘stand by’ le istanze di patteggiamento. I difensori degli imputati Corrado Alleva, Francesca Ghetti e Maurizio Parisi hanno sposato (ovviamente) la linea possibilista del Pm Ruta. Il patteggiamento (“l’applicazione della pena su richiesta delle parti”) non ha natura di sentenza di condanna (si legga in http://www.studiolegalegallo.it/patteggiamento.html).
INDAGATO ANCHE IL PRESIDENTE DELL’INPGI. Giorgio Magnoni e il figlio Luca sono stati personaggi chiave della Sopaf (holding di partecipazione finanziaria) e delle società controllate al centro di una clamorosa inchiesta giudiziaria. Giorgio Magnoni in particolare è accusato di molteplici reati (associazione per delinquere aggravata, bancarotta fraudolenta, truffa aggravata, frode fiscale, appropriazione indebita, trasferimento fraudolento di valori finalizzato ad agevolare il riciclaggio, avvalendosi di “gruppi criminali organizzati in più di uno Stato”). Giorgio Magnoni è accusato anche di truffa aggravata ai danni di Inpgi (per 7,6 milioni) ed Enpam (per 20 milioni) nonché di corruzione aggravata nei riguardi del presidente della Cassa ragionieri (frattanto Paolo Saltarelli l’11 novembre 2014 è finito in carcere nell’ambito di un procedimento collaterale che vede la Cassa ragionieri truffata per 52 milioni – in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=16057). In una tranche dell’inchiesta sulla Sopaf è indagato, come riferito, anche il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi), Andrea Camporese, che ha sempre respinto le accuse, dicendosi estraneo ai fatti oggetto dell’inchiesta (in http://www.inpgi.it/?q=node/1301 e in http://www.inpgi.it/?q=node/1310). L’Inpgi ha acquistato da Sopaf 224 quote di Fip (Fondo immobili pubblici) versando 30 milioni di euro (l’operazione ha già reso all’Istituto circa 10 milioni di euro). Sopaf, questa è l’accusa, ha realizzato “una plusvalenza – rappresentata dalla differenza tra prezzo di acquisto da ‘Immowest Promotus Holding Gmbh’ (con sede a Vienna, ndr) e rivendita a Inpgi – pari a euro 7.600.000”. SOPAF E LA VENDITA DELLE QUOTE FIP. “Sopaf non era titolare delle quote Fip – si legge nel decreto – mentre la società agiva da intermediario tra venditore ed acquirente”. Sopaf non aveva, scrive il Pm, “le risorse finanziarie per acquistare le quote di Fip”. Il 3 marzo 2009 Sopaf “incassava da Inpgi 30 milioni di euro per l’acquisto di 224 quote di FIP e a sua volta utilizzava tali risorse per eseguire il pagamento a favore di ‘Immowest Promotus Holding Gmbh’ a titolo di acquisto delle quote di FIP”. “L’operazione di trasferimento delle quote si perfezionava” il 12 marzo successivo “con il passaggio della titolarità delle 224 quote di Fip a favore di Inpgi”. Camporese, “con propria delibera”, il 19 febbraio 2009 “aveva disposto l’acquisto di 224 quote di Fip del valore unitario di euro 140.077 al prezzo complessivo di 30 milioni di euro, utilizzando fondi in disponibilità della gestione separata Inpgi”. Questa delibera è stata “ratificata” dal CdA dell’Inpgi in data 7 aprile 2009. Al CdA, scrive il Pm, lo stesso Camporese, “utilizzando artifici e raggiri”, aveva “rappresentato falsamente” Sopaf come “titolare delle quote di Fip”.
LE ACCUSE PESANTISSIME FORMULATE DAL PM GAETANO RUTA. Lo scandalo Sopaf è esploso il 9 maggio 2014, quando furono arrestate 7 persone (su 19 indagati). I reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alla truffa aggravata, all’appropriazione indebita, alla frode fiscale e al riciclaggio, avvalendosi di complici criminali esteri. Truffati, come riferito, anche tre istituti di previdenza per un totale di 79,6 milioni (52 mln la Cassa ragionieri, 20 mln l’Enpam e 7.6 mln l’Inpgi). Scattarono diverse acquisizioni di documenti da parte della GdF negli uffici dei presidenti degli enti e furono sequestrati 60 immobili (la maggior parte nel centro di Milano) e bloccati oltre 300 rapporti bancari in varie parti d’Italia per un valore complessivo che si stima vicino ai 185 milioni di euro. L’Inpgi emise un comunicato in cui si poteva leggere che “L’Ente ha assunto il ruolo di soggetto terzo, totalmente estraneo ai fatti, risalenti al febbraio 2009, oggetto di accertamento” (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=14655 e in http://www.inpgi.it/?q=node/1232). Risale al 2 dicembre 2014 la decisione del gip Donatella Banci Bonamici di accogliere la richiesta di giudizio immediato avanzata dal pm Ruta per Giorgio Magnoni e il figlio Luca.