Rai. Cottarelli: tagli sedi regionali e stipendi. I politici: un canale per noi

Rai. Cottarelli: tagli sedi regionali e stipendi. I politici: un canale per noi
Rai. Cottarelli: tagli sedi regionali e stipendi. I politici: un canale per noi

ROMA – La Rai tra incudine della spending review e martello della politica. Sono previsti tagli a sedi e stipendi, d’oro sì, ma sempre indicati al lordo, cioè prima del Fisco che se ne porta via metà; ma è previsto anche un nuovo canale, per infliggerci le parole dei politici in aula o nelle commissioni parlamentari, e piazzare un po’ di amici loro.

Le novità sulla Rai sono esposte in un lungo e dettagliato articolo di Claudio Marincola sul Messaggero.

Sulla Rai vanno in onda i tagli. E a imporli questa volta potrebbe essere il contratto di servizio 2013-2015, un documento di 34 pagine e 24 articoli già approvato dal ministero del Tesoro e dall’azienda di viale Mazzini al quale manca solo il via libera della commissione parlamentare per la Vigilanza, convocata per oggi. Evocate dal commissario per la spending review Cottarelli, le sforbiciate arriveranno. Riguarderanno soprattutto le sedi regionali considerate un lusso che la concessionaria – che proprio quest’anno festeggia i 90 anni della Radio e i 60 della Tv – non può più permettersi.

La Vigilanza presieduta dal grillino Roberto Fico ha compiti di controllo e indirizzo e dunque ha pieno titolo per introdurre correttivi.

Il passaggio in cui si fa espresso riferimento ai tagli è un emendamento presentato dal relatore Salvatore Margiotta (Pd): chiede alla Rai di predisporre entro 6 mesi dall’entrata in vigore del contratto di servizio «un progetto di riqualificazione e ridefinizione della propria articolazione regionale che, alla luce delle nuove tecnologie e nel quadro di una razionalizzazione della spesa, assicuri un miglioramento della qualità dell’informazione locale». La Rai ha predisposto un piano industriale triennale. Prevede importanti risparmi e investimenti. Il deficit che nel 2012 sfiorò i 250 milioni di euro nel bilancio 2013 dovrebbe scendere a 30 milioni con l’obiettivo di conseguire un utile nel 2014.

Non mancano novità, per la veirità, piuttosto in controtendenza. Nel nuovo contratto di servizio si chiede ad esempio all’azienda di presentare «entro 6 mesi», un progetto di canale di «comunicazione istituzionale» dedicato ai lavori parlamentari e al lavoro delle commissioni. É la riformulazione di una richiesta già presente nel contratto precedente a cui non è stato dato seguito perché i due rami del Parlamento e la Rai lasciarono cadere il progetto.

Un altro punto molto discusso, sposato in pieno dal Pd e sul quale sembra sia stata trovata la quadra, riguarda il cosiddetto «tutto compreso»: la Rai non potrà più commissionare a società di produzione detenute da agenti di spettacolo «programmi riguardanti gli artisti da loro rappresentati». In una parola non si potranno più vendere pacchetti completi, le star dovranno adeguarsi. Che sia un risparmio però è tutto da verificare. Cottarelli non è stato certamente tenero quando ha parlato senza mezzi termini di «chiudere alcune sedi regionali».

Molto prima di lui, nella stagione 2006-2008, Petruccioli aveva parlato di strutture regionali elefantiache che davano risultati insoddisfacenti in rapporto a quanto costavano. A pesare sull’azienda sono i circa 13 mila dipendenti cui si aggiungono circa 30 mila contratti di consulenza e collaborazione. Il sindacato dei giornalisti Rai, contesta nel merito e metodo la cura-Cottarelli. Vittorio Di Trapani, segretario Usigrai, spiega: «La presenza sul territorio e l’informazione da e per il territorio è un elemento imprenscindibile del servizio pubblico e va rafforzata e non indebolita.

«La Rai – continua Di Trapani va profondamente riformata ma per farlo servono garanzie e sul rinnovo della concessione che scadrà nel 2016». Da anni si chiede alla Rai e ai suoi dirigenti di rendere meno opaca la gestione di questo esercito. Di recente il Garante per la privacy ha ribadito però che esistono delle «specificità», dati sensibili che non si possono rendere pubblici per non dare un vantaggio alla concorrenza e dare vita a una guerra al rialzo. A dare i numeri, sia pure approssimativi e anonimi, è stato nella sua prima audizione in Commissione lo stesso dg Luigi Gubitosi (650 mila euro l’anno) che quei vecchi contratti se li è trovati.

E sono numeri di tutto «rispetto»: tre mega-dirigenti viaggiano sopra i 500 mila euro; 1 tra 400 e 500 mila; 4 tra i 300 mila e 400 mila; 34 tra i 200 e i 300 mila euro; 190 tra i 100 e i 200 mila euro. Per una retribuzione media di 155 mila euro l’anno. Capitolo a parte sono i 322 giornalisti dirigenti: il più pagato porta a casa una busta paga di 500 mila euro; 3 tra i 400 E 500 mila; 3 tra i 300 mila e i 400 mila euro; 24 tra i 200 e i 300 mila euro; 273 tra i 100 e i 200 mila euro.

Con il tetto fissato intorno ai 290 mila euro l’anno per i dirigenti pubblici, qualcosa si è fatto: ma vale solo per i contratti di là da venire. Stesso dicasi per l’accordo stilato con l’Usigrai in cui si prevede che i direttori di testata in carica triennale tornino alle qualifiche di partenza perdendo l’indennità di incarico. Poco o nulla è dato sapere invece sui compensi di conduttori e artisti e sugli accordi con la Siae che alla Rai costa almeno il doppio di Mediaset. Per non parlare degli appalti, dove l’oscurità regna sovrana e dei canali di pubblica utilità come il Ciss viaggiare informati e Isoradio che non è una testata giornalista ma ha una nutrita redazione e un direttore (…)

 

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