La polemica Saccomanni contro Renzi e Bruxelles. La Repubblica: “Critiche immotivate al governo Letta”. Draghi: l’Italia non sprechi i sacrifici fatti”. L’articolo a firma di Luisa Grion:
Lo scrive nero su bianco in una nota e lo ribadisce anche su Twitter: l’ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni non ci sta, non accetta le critiche mosse dalla Commissione Ue e dal premier Matteo Renzi al suo operato e a quello del governo Letta. Non gli sono piaciuti né i giudizi di Bruxelles su quelli definiti come «gli eccessivi squilibri macroeconomici italiani», né i toni usati da Renzi per parlarne con i suoi («Sapevamo che i numeri non erano quelli che raccontava Letta, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano »).
Per Saccomanni «I commenti sulla correttezza dei conti presentati dal governo Letta che sarebbero stati espressi dopo la diffusione dei risultati della indepth review della Commissione Europea, sono incomprensibili e immotivati: la Commissione non ha fatto alcuna analisi ex-post della contabilità nazionale, bensì ha ribadito la divergenza tra le proprie stime e i nostri obiettivi per l’anno incorso». Una divergenza, ha segnalato in una nota, «che potrà eventualmente essere apprezzata soltanto quando tutte le misure messe in campo avranno potuto esprimere effetti».
Non solo, poco dopo aver diramato il comunicato, l’ex ministro ha inviato all’ex premier cinque tweet, ribadendo il concetto e precisando che «abbiamo lavorato per la crescita all’1per cento, obiettivo necessario per abbattere debito/Pil e insieme creare nuova occupazione». Si è pure tolto un sassolino dalla scarpa: «avremmo realizzato anche gli obiettivi di revisione della spesa secondo il programma, ma ci è stato negato il tempo per farlo» ha puntualizzato in uno dei messaggi.
Di diverso parere è in realtà la Bce, che ha fatto sue le critichemosse da Bruxelles all’Italia, ma anche alla Germania e alla Francia. «Sicuramente accogliamo con favore le raccomandazioni della Commissione europea sulla necessità di risolvere gli eccessivi squilibri macroeconomici nell’area dell’euro» ha detto il presidente Mario Draghi. Spiegando, senza mai nominare alcuno Stato membro, che «i Paesi dell’euro nondevono disfare quanto già raggiunto in passato in termini di risanamento dei conti pubblici ». Perché, ha detto, «sarebbe un disastro» dopo che sono costati «tanti sacrifici e tanto dolore »: «che senso avrebbe tornare indietro ora e sprecare tutto il capitale umano e politico investito in questi sforzi».
Dalle Ue però, oltre alle critiche è arrivata anche un’apertura alla possibilità di utilizzare parte dei Fondi comunitari per coprire i tagli al cuneo fiscale. Ne aveva parlato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan in una intervista al «Sole 24 ore» e ieri, fonti europee qualificate hanno precisato all’«Ansa» che la cosa è fattibile. Niente da fare per le risorse previste per il 2007-2013, ma «nel quadro della nuova programmazione2014-2020 sarà possibile cominciare da subito ad investire in occupazione e competitività ». A tre condizioni: «il meccanismo deve essere concordato con la Commissione Ue; deve riguardare misure molto mirate ed in numero limitato; la coerenza delle misure con la strategia della programmazione deve essere verificata a posteriori».
“Ucraina indivisibile, reagiremo” l’Europa con gli Usa sulla linea dura. L’articolo su Repubblica a firma di Andrea Bonanni:
Invece della deescalation militare che si aspettavano da Putin, gli occidentali si sono trovati a dover innescare una escalation diplomatica inasprendo, e di parecchio, i toni nei confronti di Mosca. La notizia che il Parlamento della Crimea aveva votato unilateralmente l’annessione della penisola alla Russia, sancendo di fatto lo smembramento dell’Ucraina, è arrivata come una bomba sul tavolo dei capi di governo europei riuniti ieri per un vertice di emergenza a Bruxelles. A peggiorare le cose, come ha spiegato il presidente francese Hollande, sono poi venute le informazioni che gli osservatori dell’Osce e l’inviato dell’Onu erano stati bloccati e non avevano potuto svolgere il loro lavoro.
Così, dopo una rapida consultazione con Washington, americani ed europei, per una volta d’accordo, hanno deciso di alzare il livello dello scontro. «La decisione del Parlamento di Crimea di chiedere l’annessione alla Russia con un referendum è illegittima e viola la Costituzione ucraina» hanno detto, esattamente con le stesse parole, il presidente Obama, la cancelliera Merkel e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy. Il messaggio è chiaro ed è stato mandato durante un incontro che i leader europei hanno avuto con il premier ucraino: la Crimea è e resterà parte dell’Ucraina. «È finita l’epoca in cui le frontiere potevano essere ridisegnate a dispetto dei dirigenti democraticamente eletti», ha detto il presidente americano. Obama ha varato un ordine esecutivo che apre la via ad una serie di sanzioni contro Mosca, a partire dalla cancellazione dei visti per una serie di esponenti del governo russo, «in coordinamento con gli europei». La Ue ha invece approvato una strategia che prevede una batteria crescente di ritorsioni per costringere Putin a negoziare. La prima fase, già operativa, è la cancellazione dei negoziati con Mosca sull’abolizione dei visti e il congelamento della preparazione del vertice G8 di Sochi.
La seconda fase scatterà se la Russia continuerà a rifiutare la creazione di un gruppo di contatto composto da europei, americani, russi e ucraini, e se i negoziati in quella sede non dovessero portare a risultati «in tempi brevi». Questo avrebbe, ha avvertito Van Rompuy, «conseguenze molto serie sulle relazioni blaterali». La Ue per ritorsione adotterà una serie di sanzioni personali nei confronti di esponenti dell’amministrazione russa che potranno andare dal ritiro dei visti al congelamento dei beni in una progressione mirata a costringere il Cremlino ad accettare la via negoziale e diplomatica. La terza fase scatterebbe solo in caso di una ulteriore escalation russa, con l’intervento militare nell’Ucraina orientale. In questo caso gli europei sono pronti a rivedere completamente i rapporti economici con Mosca e a varare sanzioni commerciali. In questa prospettiva, gli Usa si sono detti disponibili ad esportare gas verso l’Europa percontrastare un eventuale blocco dei rifornimenti da parte della Russia.
L’obiettivo degli europei resta dunque sempre quello della via diplomatica. Ma i toni usati ora sono molto più duri. «Noi vogliamo una soluzione politica, ma siamo stati più volte delusi negli ultimi giorni e siamo pronti ad agire. Il dibattito oggi è stato molto serio e preoccupato. Se sarànecessario, possiamo riunirci di nuovo per adottare ulteriori misure anche prima del vertice previsto il 20 marzo», ha spiegato Angela Merkel. La Cancelliera, che nei giorni scorsi aveva avuto numerosi colloqui con Putin e che era una sostenitrice della linea morbida nei confronti di Mosca, evidentemente si è sentita personalmente tradita dal comportamento del capo del Cremlino.
LEGGI ANCHE: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “#inquisitostaisereno”
M5s, espulsi altri cinque. Grillo li caccia via post. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Luca De Carolis:
Fuori altri cinque. Foglio di via anche i senatori dimissionari: espulsi direttamente via post da Grillo, senza un passaggio sul web. Volevano rimanere comunque nei 5 Stelle, almeno fino a quando l’aula non avesse votato sulle dimissioni. E invece è stato l’addio, sancito in un’assemblea serale fatta di urla, pianti e diverbi sulle regole. La riunione dell’offerta finale degli ortodossi (“Se ritirate le dimissioni intercediamo con lo staff”): inutile. I 5 non sono più nel Movimento. L’M5S in un anno ha espulso 11 senatori, a cui vanno aggiunti due fuoriusciti. Per un conto finale di 13 parlamentari in meno. Ora almeno due dei nuovi espulsi potrebbero confluire nel nuovo gruppo degli ex M5S, vicinissimo alla quota minima di senatori (10) per esistere. E altri 4-5 malpancisti potrebbero seguirli. Nel Movimento Cinque Stelle senza pace, a Palazzo Madama doveva essere la giornata del chiarimento definitivo con i 5 dimissionari: Maurizio Romani, Maria Mussini, Alessandra Bencini, Laura Bignami e Monica Casaletto. I cinque dello strappo, per protesta contro l’espulsione di 4 colleghi (Orellana, Battista, Bocchino e Campanella).
DOPO L’ULTIMATUM del capogruppo Vincenzo Santangelo, scaduto martedì, ieri sera avrebbero scegliere se confermare o meno l’addio al Senato. La terza opzione, rimanere nel gruppo fino al voto dell’aula, non era prevista. Ma in mattinata, quando alcuni pontieri sono già al lavoro per ricucire, arriva il post di Grillo. Definitivo: “Bencini, Bignami, Casaletto, Mussini e Romani hanno presentato le dimissioni al presidente del Senato Piero Grasso. Si tratta di un gesto politico in aperto conflitto con quanto richiesto dal territorio, stabilito dall’assemblea dei parlamentari del M5S, confermato dai fondatori del M5S e ratificato dagli iscritti certificati in rete, in merito ai 4 senatori espulsi. È stato loro chiesto se confermassero o meno la propria posizione e l’hanno ribadita”. Quindi, la sentenza: “I senatori dimissionari si sono isolati dal MoVimento 5 Stelle e non possono continuare ad esserne rappresentanti ufficiali nelle istituzioni. Bencini, Bignami, Casaletto, Mussini e Romani sono fuori dal M5S”. Espulsi, senza voti preventivi, e senza consultazioni via web. Su palazzo Madama cala una cappa di tensione. Campanella ironizza: “Licenziati altri 5, alla fine non riusciranno a organizzare una briscola”. La Bignami twitta: “Grazie Beppe, senza di te non avrei mai fatto questa esperienza! Non ti curare, ti ho già perdonato”. Un terreo Mario Giarrusso sibila: “Cosa succede? Chiedete a Santangelo”. Lui, il capogruppo, precisa all’Huffington Post: “Il post con Grillo era concordato, ma questa non è un’espulsione, prendiamo atto che loro si sono messi fuori. Stiamo preparando la lettera per Grasso”. Sull’altro fronte Riccardo Fraccaro: “Fa bene espellere tossine”. Serafico Vito Petrocelli: “Così sia, un gesto politico deve avere conseguenze politiche”. Arriva la notizia di una busta con proiettili per Battista e Orellana. Solidarietà dai capigruppo M5S di Camera e Senato. Si arriva alla riunione del pomeriggio, spiata da una folla di cronisti. Ci sono anche gli espulsi. Da dentro, la voce di Maria Mussini: “Vi sentite in guerra: bene, oggi ci sono i caduti. Io ho diritto di dire la mia e anche di andare a cena con Civati, se mi pare. Parlate di identità, di sangue puro: mi fate venire i brividi”. Sfogo finale: “Non ne posso più di sentire parlare di soldi”.
Il mercato delle donne. Il Giornale: “Scontro di genere e di potere alla Camera per le quote rosa nella nuova legge elettorale. Berlusconi: anche con Renzi, sempre in guardia contro la sinistra.” L’articolo a firma di Ida Magli:
Oggi si è inceppato l’iter della nuova legge elettorale di fronte a una questione, quella dell’immissione delle quote femminili che, in base anche al clima sociale e politico formatosi negli ultimi tempi, si riteneva fosse ormai un dato pacificamente acquisito. Sono passati molti anni dalle prime accesissime battaglie in proposito e non dovrebbe più essere necessario fermarsi a spiegare come il sistema brutale del «rendere giustizia» ai gruppi svantaggiati, come è stato fatto negli Stati Uniti d’America per i neri e le donne, fissando in partenza le quote a loro riservate nelle sfide politiche, nei concorsi universitari, nelle borse di studio, ecc., pur essendo in apparenza il più semplice e diretto, abbia portato a conseguenze così pesantemente negative da indurre in molti casi gli stessi gruppi «protetti » a rinunciarvi. Conseguenze negative ovviamente per l’abbassamento del prestigio, implicito per coloro che «vincono» in base alle quote riservate. Per quanto riguarda l’Italia, però, dove il sistema delle quote arriva soltanto oggi e soltanto nella lotta politica, l’analisi bisogna svolgerla tenendo conto non soltanto delle ricadute negative sperimentate in altri Paesi, ma anche e soprattutto del fatto che le donne ormai sono «arrivate ». Arrivate con le proprie forze, senza l’aiuto di nessuno, senza quote, a volte anche dileggiate per la loro volontà di partecipazione alla vita sociale, accollandosi, sia pure brontolando, il famoso «doppio lavoro», quello di casa e quello di fabbrica o d’ufficio. Accettare l’idea delle quote sarebbe un passo indietro, come confessare di essere una specie da proteggere, distruggendo così anni di conquiste che le donne sono riuscite a raggiungere da sole. In molti campi hanno costretto ai margini gli uomini diventando maggioranza o facendosi apprezzare più degli uomini. Nella scuola di ogni ordine e grado, per esempio, l’Istat ci dice che le insegnanti di ruolo sono l’82%; nella medicina di base e in diverse specialità cliniche le donne sononumerosissime e stimate per la loro disponibilità e competenza più degli uomini. Nel campo del giornalismo la situazione è sotto gli occhi di tutti: le inviate da ogni parte del mondo affollano i telegiornali.