ROMA – Il Sistema sanitario nazionale spende sempre di più, ma i cittadini e gli enti locali non se ne sono accorti, i primi perché hanno sempre meno servizi e i secondi perché hanno sempre meno fondi. Negli ultimi quattro anni il Fondo sanitario nazionale ha speso quasi 10 miliardi di più: dai 97 miliardi del 2007 ai 106,9 miliardi del 2011. Ma molti finiscono in visite inutili, farmaci in eccesso, come il personale amministrativo delle Asl.
La colpa è dei meccanismi clientelari che governano la gestione del personale nelle Asl e negli ospedali, l’assegnazione degli appalti per le forniture mediche e per le apparecchiature (caso Tarantini docet); dei medici che prescrivono troppi esami e troppi farmaci, d’accordo con le case farmaceutiche che guadagnano sugli eccessi di spesa per lo Stato; ma è colpa anche dei cittadini che non vogliono rinunciare al piccolo ospedale vicino casa.
Un’inchiesta di Michele Bocci su Repubblica accerta che sono proprio 10 i miliardi che si potrebbero risparmiare razionalizzando – e non tagliando – le spese: un guanto di sfida lanciato a Renato Balduzzi, neo ministro della salute.
Sono dieci i fattori che moltiplicano degli sprechi. A iniziare dai piccoli ospedali, 60 strutture che danno assistenza a 5 mila posti letto, il 2% del totale italiano: servono a poco ma costano tanto, perché non sono “in rete” con altri ospedali e questo comporta ricoveri più lunghi a scapito del day ospital e della day surgery. Però nessuno finora è riuscito a chiuderli o a riconvertirli (una “razionalizzazione” che farebbe risparmiare 4,5 miliardi), perché ci sono troppe resistenze locali.
Poi ci sono le asimmetrie delle Asl. Mancano infermieri e medici, ma abbondano gli impiegati. Il 20% del personale amministrativo delle Asl potrebbe essere tagliato, stando alle stime del sindacato dei medici di famiglia, il Fimmg: il Sistema sanitario nazionale potrebbe trovarsi con 1-1,5 miliardi in più in cassa.
Sono ben cinque miliardi invece che si potrebbero risparmiare riducendo gli esami inutili prescritti dai medici. Non solo per eccesso di “check-up”, ma anche per la pratica diffusissima della “medicina difensiva”, cioè quella di ordinare visite, controlli e risonanze solo per evitare futuri problemi legali con i pazienti, per mettersi nelle condizioni di dire: caro signor Bianchi, io quell’esame gliel’avevo prescritto…
I macchinari negli ospedali, poi sono sfruttati sono al 70% del loro potenziale, secondo la Società italiana di radiologia medica. Tac, risonanze ed ecografie: utilizzando le apparecchiature al 100% si risparmiano 350 milioni di euro e si riducono i tempi di attesa per i pazienti.
Altro capitolo di sprechi sono i farmaci. Se le Asl acquistassero più farmaci generici grande sarebbe il risparmio per le Regioni. Se poi fosse possibile comprare solo le compresse necessarie alla cura e non ogni volta l’intera confezione si spenderebbero 700 milioni di meno. E si spenderebbero 2,5 miliardi di meno se si facessero gare (per la sanità pubblica) non solo fra farmaci con lo stesso principio attivo ma anche con prodotti diversi ma dallo stesso risultato terapeutico. Pensate a quanti “principi attivi” curano il mal di testa, per esempio.
E poi ci sono gli evasori, quelli che non pagano il ticket sanitario perché certificano redditi inferiori a 36.151 euro o un’età superiore ai 65 anni o inferiore ai 6. Da controlli più severi sui “falsi esenti” si potrebbe ricavare un miliardo.
Evitabili gli errori in corsia, le protesi perdute, gli errori dei medici e le infezioni per scarsa igiene: secondo gli esperti, la metà degli incidenti si può prevenire. Le Asl pagherebbero 600 milioni di euro di risarcimenti in meno e si abbasserebbero i costi di assicurazione per le Aziende sanitarie.
Le Asl e le Regioni sono sempre in emergenza perché il ministero del Tesoro ogni anno trattiene il 3% dei fondi col criterio: se tu Regione sei stata brava, hai risparmiato e hai raggiunto gli obiettivi di qualità, io quei soldi te li do. Quei soldi arrivano uno-due anni dopo, col risultato che le Regioni pagano di più e in ritardo i fornitori, per cifre su cui poi scattano gli interessi per il ritardato pagamento. Così si buttano 500 milioni di euro.
L’aspetto più doloroso degli sprechi sono poi i viaggi della speranza che gli italiani, soprattutto i meridionali, devono fare per trovare strutture sanitarie più efficienti, soprattutto in direzione nord. La Regione del “paziente migrante” paga la prestazione sanitaria alla Regione che ospita l’ospedale “migliore”. Un import-export di pazienti che vale 4 miliardi di euro, di cui 3 spesi dalle Regioni del sud. Ridurre gli spostamenti significherebbe un sistema più omogeneo (per efficienza) su tutto il territorio nazionale e minori spese per le famiglie.
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