ROMA – I risultati di tre differenti ricerche condotte e riprese dalla Brigham Young University, BYU, hanno permesso la comprensione dei meccanismi di produzione e sviluppo del virus Hiv nell’uomo, e di come tale virus negli anni sia stato in grado di modificarsi ed evolversi.
In una ricerca condotta diversi anni fa ci si accorse che due gemelli, entrambi contagiati dal virus per una trasfusione infetta, divennero sieropositivi. Uno dei gemelli sviluppò un sistema immunitario sano e crebbe sostanzialmente in buona salute, mentre il fratello presentò delle complicazioni e nella tabella della crescita appare in ritardo di 5 anni rispetto al gemello.
I due gemelli, il cui corredo genetico è identico, hanno manifestato in modi molto diversi lo sviluppo del virus, come hanno notato alla BYU, dove il professor Keith Crandall ha condotto la ricerca in collaborazione con l’Istituto Nazionale del Cancro americano.
Un altro studio che può aiutare il professor Crandall a comprendere meglio l’Hiv e i suoi meccanismi di sviluppo nell’uomo viene dalla Thailandia, dove la sperimentazione di un vaccino contro il virus, poi rivelatosi inefficace, ha permesso di analizzare il modo in cui il virus si è evoluto nella popolazione thailandese, offrendo nuovi dati ai ricercatori su come tale virus attacchi l’organismo umano.
I risultati del terzo studio condotto dal Dipartimento di Chimica e Biochimica della Byu, e diretto da Greg Burton, hanno invece individuato una proteina naturale che sarebbe in grado di prevenire e bloccare il processo di moltiplicazione del virus nell’organismo ospite. Inoltre tale ricerca, condotta in collaborazione col dipartimento di scienze della salute dell’università del Colorado, ha permesso di stabilire i meccanismi con cui la proteina e non solo i suoi effetti sul virus.
Lo studio condotto da Burton quindi potrebbe portare alla produzione di un vaccino efficace, che possa rallentare se non del tutto bloccare, la riproduzione del virus nei soggetti sieropositivi. La proteina in questione è la A-1-antitripsina, anche detta AAT, già impiegata in medicina nel trattamento di patologie polmonari.
“La AAT altera l’attivazione di una proteina necessaria all’Hiv per trascrivere il proprio corredo genetico e avviare la replicazione del processo. Senza la proteina, il virus non è più in grado riprodursi”, ha spiegato Burton, che ha poi sottolineato come l’importanza della ricerca non sta nell’aver individuato l’effetto della proteina, già noto da precedenti studi, ma nell’aver svelato il meccanismo con cui tale proteina opera.
Il professor Crandall ha invece posto la sua attenzione al fallimento del vaccino in Thailandia, sottolineando come i test sulla comunità thailandese non siano stati eseguiti in modo rigoroso, infatti le persone affette da Hiv manifestavano la stessa forma virale, dovuta probabilmente ad un contagio avvenuto durante l’assunzione di droga con lo stesso ago infetto.
La sperimentazione del vaccino su soggetti affetti dallo stesso ceppo non aiuta i ricercatori, infatti per determinare se il vaccino è o meno in grado di bloccare il virus è necessaria una sperimentazione vasta e diversificata. Il caso dei gemelli, in questo senso, costituisce un ottimo esempio di come lo stesso ceppo contratto da soggetti vicini tra loro possa manifestarsi ed evolversi in modi completamente diversi, sebbene geneticamente i due soggetti siano identici, e lascia aperti degli interrogativi sul perché vi siano queste differenze nello sviluppo dell’Hiv nei pazienti.
Che si tratti di selezione naturale o di casualità, il virus dell’Hiv costituisce una grave patologia i cui meccanismi non sono ancora ben noti all’uomo, ma che richiede una serio progetto per l’individuazione di un trattamento efficace, come lo stesso Crandall ha osservato: “Penso che la comunità sia divisa su come trattare l’infezione da Hiv. C’è chi sostiene che la strada del vaccino – sebbene ad oggi non abbia fornito risultati soddisfacenti – sia da continuare, ma dobbiamo seguire dei progetti di sperimentazione più intelligenti”.
Le parole di Crandall si riferiscono a coloro che, nella ricerca contro l’Hiv, sostengano inutilità di continuare a sperimentare vaccini dalla dubbia efficacia, che non riescono a raggiungere il virus, come ha spiegato il professore della Byu, sostenendo che la ricerca “debba focalizzarsi su una terapia farmacologica, anche se il virus tende a ‘nascondersi’ dove i farmaci hanno ben poco effetto”.
E’ dunque questo il prossimo obiettivo delle ricerche: combinando i risultati ottenuti dalle tre ricerche il team della Byu cercheranno un modo per ‘stanare’ il virus dai suoi nascondigli ed individuare un vaccino, o un adeguata terapia farmacologica, in grado di debellare l’infezione da Hiv.
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