#Vermeeraroma: il “qui ed ora” protestante e il “qui ed ora” di Facebook e Twitter

La mostra Vermeer a Roma è un evento. Evento nell’evento, l’invito ricevuto per assistere a una visita riservata a “quelli del web”. Ottima idea del gruppo di Scuderie del Quirinale, sede della mostra. Ottima strategia, così si fa.
E questa è la cronaca.

In realtà non siamo solo “quelli del web”. C’è un po’di gente che sembra aver studiato.
Noi, “quelli del web”, al massimo ci siamo preparati su Wikipedia. Abbiamo la faccia di chi ha studiato la notte e riconnette informazioni ai post-it attaccati sul monitor.
Siamo riconoscibili dallo smartphone brandito come uno scettro già al portone.
Siamo quelli con l’aria da gita scolastica: ciarloni, disordinati, vestiti tutti uguali.

Mi distinguo perchè sono la più anziana e l’unica che non è passata a cambiarsi per sembrare una che dopo andrà a cena al Rione Monti, questo è evidente.

Rapidamente, delibero che bisogna trasformare questo difetto in un pregio: rispolvero l’aria snob, da quella che ha fatto il liceo classico della borghesia romana (con indirizzo in storia dell’arte, pure). Ma cado sul primo tweet: scrivo #vermeraroma e non #vermeeraroma, con due E. Quelli di Twitter, che sono colti e hanno tutti la matita rossa e blu, mi sgridano in diretta.
Metto gli occhiali. Dentro di me, dò la colpa al touch screen e al pollice troppo svelto: le nuove competenze manuali sono contrarie alla grammatica, gli adolescenti insegnano.

Vago tra le sale armata di telefono (ho anche l’iPad nella borsa, per sicurezza), finalmente confusa tra quelli-come-me.
Finalmente libera di twittare nel posto che sarebbe solitamente considerato “sbagliato”.
Finalmente non sto sul cacchio a nessuno, anzi. Non sono maleducata. Mi domandano pure “prendi bene?”.
Ci si riconosce perchè siamo quelli che fanno scattare l’allarme ai quadri. Dinoccolati, scomposti, twittiamo e poi ci cerchiamo. Sembra di essere in una versione colta dello speed dating. Gente che si retwitta da mesi senza essersi mai vista, finalmente si dà un volto mentre osserva volti pallidi ritratti nelle tele.
E le tele sono piccole, alcune grandi come iPad.
Hanno una definizione migliore dell’ iPad, a dire il vero.
Il risultato del nostro stupore, un po’ colto e un po’leggero è davvero gradevolmente POP e lo si può vedere cercando l’hashtag #Vermeeraroma.

La mostra, va detto, è bellissima. Ed è anche la più grande mostra su Vermeer che si sia mai vista, avendo ottenuto ben 8 tele del Maestro di Delft, cosa rarissima. Il resto è una collezione strepitosa, raccolta in dieci sale dove impari tutto quello che puoi imparare sulla pittura olandese del ‘600 e su una porzione di Olanda, paese centrale per l’Europa del tempo. Protestanti che si fanno cattolici, come il buon Vermeer, che tra sacro e profano eccelle nel secondo. Figlio del suo tempo, dannatamente proiettato su quella borghesia che preme sull’Europa del Nord mentre il Sud vaga nelle “tenebre” cattoliche controriformate.

Noi, quelli del Sud, ci appelleremo al Barocco per ricordare che Dio è potente. Loro, quelli del Nord, si appellano allo “status”. La ricchezza, la gloria del quotidiano, la gioia del tempo libero passato a suonare, la sensualità dei pendagli appesi ai lobi delle donne… tutto questo è Dio, è “qui e ora” possibile.

Un po’come il Presente di Facebook e Twitter, insomma. In 70.000 sono followers, nel senso che si sono già prenotati.

Andateci, cittadini del Mediterraneo. Connessi o meno, fa bene vedere tanta perfezione composta e contenuta, pronta a diventare piccola parte della cultura personale.
Che, diciamolo, in ogni mega-museo del mondo, la sala dei fiamminghi si salta sempre a piè pari.

@Fraq

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