Ikaria, l’isola dove la gente si dimentica di morire

IKARIA, GRECIA – C’è un’isola dell’Egeo settentrionale dove gli abitanti “si dimenticano di morire”. Ikaria, 99 kilometri quadrati, 8.312 residenti secondo l’ultimo censimento (2001), a 19 km di distanza dalla più turistica Samos, e circa 50 dalle coste della Turchia.

L’isola dedicata a Icaro è una delle cinque “Blue Zone” del mondo: sono quei posti dove c’è un eccezionale tasso di longevità, studiati dall’esploratore Dan Buettner. Insieme a Ikaria ci sono dei paesini di montagna in provincia di Nuoro, in Sardegna; le isole di Okinawa in Giappone; un gruppo di avventisti del settimo giorno a Loma Linda, California; la penisola di Nicoya in Costa Rica.

La fama di Ikaria come posto salutare risale a 25 secoli fa, quando i greci l’avevano già eletta come sito termale. Una peculiarità che non si è persa nel tempo se è vero che nel 1600 l’arcivescovo Georgirenes, la cui diocesi comprendeva Ikaria, Samos e Patmos, riferiva a Re Carlo II d’Inghilterra che l’isola era così salubre che “era normale incontrare dei centenari”.

Una spiegazione la si può trovare nel vento: Ikaria è – più della media delle isole greche – spazzata da venti forti e non ha porti naturali, cosa che l’ha tenuta lontana dalle principali rotte di navigazione, costringendola all’autosufficienza. Questo per quanto riguarda la geografia. La storia e la sociologia ci dicono che alla fine degli anni 40, passata la guerra civile greca, il governo di Atene mandò in esilio nel “paradiso dei centenari” migliaia di oppositori e comunisti. Tuttora il 40% degli “Ikariotes” vota il Partito Comunista, il KKE.

Ha spiegato a Dan Buettner un medico, uno dei pochi dell’isola, che “A Samos, a soli 19 chilometri da qui c’è un mondo completamente diverso. Molto più “sviluppato”. Ci sono grattacieli, resort e case da un milione di euro. A Samos si preoccupano molto per i soldi. Qui no. Per le feste religiose e non, le persone mettono in comune i loro soldi per comprare il cibo e il vino. Se avanza ancora denaro, lo danno ai poveri. Ikaria non è un posto dove si dice “io”. È un posto dove si dice “noi“”.

A Ikaria infatti tutte le reti sociali possibili sono in azione: la politica intesa come partecipazione alla vita pubblica, la famiglia dove più generazioni vivono sotto lo stesso tetto e dove nessuno viene lasciato solo, la fede ortodossa che cementa con i suoi riti la comunità e gli amici che continuano a frequentarsi fra di loro e a uscire senza limiti di età.

Nel posto “noi”, la “Blue Zone” di Buettner insieme all’Università di Atene ha concluso che c’è una percentuale di persone che hanno superato i 90 anni che è due volte e mezzo quella degli Stati Uniti, con un quarto del tasso di demenza senile e un’incidenza bassissima di cancro e malattie cardiovascolari. E’ per questo che a Ikaria non è raro sentire storie, che sembrano leggende, come quella di Stamatis.

Stamatis, l’uomo che si è “dimenticato di morire”. Nel 1943 Stamatis Moraitis, veterano di guerra greco, andò negli Stati Uniti per curarsi un braccio maciullato in guerra. Era sopravvissuto a un colpo di pistola, fuggito in Turchia e riuscito ad imbarcarsi sulla Queen Elizabeth, nave adibita al trasporto truppe, per attraversare l’Atlantico.

Moraitis si stabilì a Port Jefferson, nello Stato di New York, un’enclave di greci originari della sua isola natale, Ikaria. Trovò subito un lavoro (manuale). Poi si trasferì a Boynton Beach, in Florida. Nel frattempo aveva sposato una greco-americana con la quale aveva fatto tre figli. Aveva comprato una casa con tre camere da letto e una Chevrolet 1951.

Arrivò un giorno, tre decenni più tardi, in cui Stamatis sentì il fiato corto. Salire una rampa di scale improvvisamente sembrò un’impresa: dovette lasciare il lavoro e tornarsene a casa quando non erano ancora le 12. Dopo i raggi X, il suo medico concluse che Stamatis aveva il cancro ai polmoni. Alla stessa diagnosi arrivarono nove altri medici. Gli diedero nove mesi di vita. Lui aveva una sessantina d’anni, era il 1976.

Stamatis sulle prime pensò di rimanere in America e cercare un ospedale dove avrebbe provato un trattamento aggressivo contro il cancro e rimanere vicino ai suoi figli, nati e cresciuti nella sua patria d’adozione. Ma poi decise di tornare ad Ikaria, dove sarebbe stato sepolto con i suoi avi in una tomba all’ombra delle querce, in un cimitero che si affaccia sull’Egeo. Al ritorno a Ikaria lo spingeva anche una considerazione più prosastica: un funerale negli Stati Uniti gli sarebbe costato migliaia di dollari, una cerimonia tradizionale “ikariotes” solo 200 dollari. Soldi risparmiati con i quali sua moglie Elpiniki avrebbe potuto integrare la sua pensione.

Stamatis ed Elpiniki andarono a vivere con gli anziani papà e mamma Moraitis, in una piccola casa bianca in mezzo a due ettari di vigneti terrazzati vicino a Evdilos, nella parte più a nord di Ikaria. I primi tempi Stamatis passava le giornate a letto, sotto l’occhio vigile di sua moglie e sua madre. Lentamente riscoprì la sua fede in Dio. La domenica mattina con passo esitante raggiungeva una cappella greco-ortodossa in cima alla collina, dove suo nonno sacerdote molti anni prima celebrava messa. Quando i suoi amici d’infanzia hanno scoperto che era tornato a Ikaria, hanno cominciato a presentarsi ogni pomeriggio. Parlavano per ore, attività che si accompagnava sempre all’apertura di un paio di bottiglie di vino di produzione locale. “Potrei anche morire felice”, pensò Stamatis.

Passavano i mesi e successe qualcosa di strano: Stamatis non solo si sentiva meglio, iniziò anche a sentirsi più forte. Un giorno gli venne in mente l’idea, ambiziosa, di piantare alcune verdure in giardino. Non pensava di riuscire a vivere tanto da riuscire a raccoglierle, un giorno. Ma gli piaceva starsene a lavorare nell’orto sotto i raggi del sole, respirando l’aria dell’Egeo. Elpiniki avrebbe potuto mangiare verdure fresche, quando lui non ci sarebbe più stato.

Passò un anno e Stamaitis non era ancora passato a miglior vita. Anzi stava benissimo in questa. Raccolse i frutti del suo orto e, incoraggiato, sistemò anche la vigna di famiglia. Era entrato in simbiosi con il battito cardiaco rilassato che scandisce i ritmi della vita sull’isola di Ikaria. Ovvero aveva iniziato ad alzarsi senza fretta e senza sveglia la mattina (intorno alle 11), lavorare nell’orto o nella vigna fino a metà pomeriggio, pranzare e poi concedersi una lunga pennichella. La sera la passava in taverna con gli amici: cena, vino e partita a domino fino a dopo la mezzanotte.

Una dolce routine che ha accompagnato Stamatis per anni. La sua salute ha continuato a migliorare. Nel frattempo aveva aggiunto un paio di camere alla casa dei suoi genitori, così che i suoi figli potessero venirlo a trovare dall’America. La sua vigna è arrivata a produrre 400 litri di vino l’anno.

Oggi è uno splendido novantasettenne, anche se lui dice di avere 102 anni, completamente guarito dal cancro. Quando è andato, qualche anno fa, in America per spiegare quello che gli era successo ai medici che gli avevano diagnosticato il cancro, non è riuscito nel suo intento perché, ha raccontato a Buettner, “i miei medici erano tutti morti”. Anche sua moglie Elpiniki lo ha lasciato questa primavera. Aveva 85 anni. Ma lui non si è abbattuto: ci sono gli amici con i quali continua a vedersi ogni giorno. Ogni giorno in cui può testimoniare il miracolo della sua guarigione. Senza chemioterapia, senza farmaci, senza nessuna terapia: tutto quello che ha fatto è stato tornare a casa a Ikaria.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie