ROMA – Ius primae noctis mai esistito: falso mito contro il Medioevo. Lo ius primae noctis non è mai stato esercitato da alcun signorotto predatore di verginità delle belle giovani sottomesse al suo dominio assoluto nei suoi possedimenti, un attimo prima di prender marito. Uno storico e fine divulgatore come Alessandro Barbero, si è incaricato di derubricare questo famigerato istituto a leggenda non metropolitana, ma umanista, rinascimentale e infine illuminista, che insieme ad altre dovevano alimentare l’immagine tetra e spaventosa di un Medioevo perso nella notte della barbarie e dell’oscurità. A maggior gloria dei successori, evidentemente, desiderosi di mostrare attraverso un facile confronto a contrario fondato su falsi presupposti, quanto loro erano brutti selvaggi e cattivi e quanto noi belli, buoni e civilizzati.
Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di lagnanze dei contadini contro i loro signori, lunghi elenchi di usi e abusi, resoconti di rivolte e memoriali di avvocati; conosciamo dettagliatamente gli innumerevoli obblighi, imposte e gabelle di cui i contadini si lamentavano e che cercavano di far abolire: un obbligo come lo ius primae noctis non è mai menzionato. E dunque, quand’è che si comincia a parlarne? Questo diritto imbarazzante comincia a essere citato alla fine del Medioevo, e poi è evocato sempre più spesso a partire dal Cinquecento, secondo uno schema preciso e che è sempre il medesimo: come qualcosa che capitava ai brutti vecchi tempi. (Alessandro Barbero, La Stampa)
Insomma, l’abbaglio procurato, la distorta immagine di un buio Medioevo ci ha costretto a berci ogni genere di fandonia su un’epoca perlomeno in chiaroscuro: la confutazione della veridicità di una presunta pratica elevata a norma come lo ius primae noctis ci permette almeno di riabilitare l’uomo medievale, umiliato sull’altare delle pretese di “eruditi creduloni” disposti a screditare i propri predecessori non ancora toccati dalla grazia della conoscenza.
Lo ius primae noctis , insomma, è lo stigma dell’altro. Non esiste nessuna testimonianza di qualcuno che affermi di vivere in una società in cui quell’usanza è praticata, e di trovarla normale. Tutti quelli che ne parlano, dalla fine del Medioevo in poi, la associano a un’alterità barbarica, all’esotismo dei nuovi mondi, o a quell’altro esotismo, di gran fascino, che è l’esotismo del passato. Ed è il motivo per cui da queste leggende è così difficile liberarsi. Non importa se da cent’anni nessuno storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo. Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora.
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