ROMA – Non è più il Pd ma il PdR, il Partito di Renzi: lo scrive Ilvo Diamanti su Repubblica commentando un sondaggio Demos in cui il 74% degli intervistati afferma di avere fiducia “personale” nel premier Matteo Renzi, e quasi il 70% valuta positivamente l’operato del governo Renzi.
“Un livello di consenso larghissimo. Conquistato, in precedenza, solo da Monti, al momento dell’incarico. Non certo da Berlusconi, neppure nei giorni migliori. Oggi, tra le figure pubbliche, solo Papa Francesco è più popolare di lui. E, come il Papa, Renzi appare popolare presso tutti gli elettorati. Da Sinistra a Destra, passando per il Centro. Perfino fra gli elettori del M5S quasi 6 su 10 esprimono fiducia nei suoi riguardi.
Renzi sembra muoversi in un deserto di consensi: nessuno li ha tranne lui. Il Paese vuole archiviare i partiti e affidarsi alle leadership. Ma per trovare due personalità che raccolgano qualche giudizio positivo bisogna orientarsi su due “giovani”, Matteo Salvini e Giorgia Meloni:
“Il segretario della Lega Nord ottiene, infatti, la fiducia dal 38% degli intervistati. Poco più della metà, rispetto a Renzi. Ma, comunque, oltre il doppio di due mesi fa. La presidente dei Fratelli d’Italia è valutata positivamente dal 36% degli intervistati: 10 punti più rispetto al sondaggio pre-elettorale. Si tratta di dati particolarmente significativi, soprattutto se messi a confronto con l’orientamento verso gli altri principali leader di partito. […] D’altronde, non solo Renzi, per primo e sopra tutti, ma anche Salvini e Meloni si distinguono dagli altri perché sono più “giovani”, per generazione biografica e politica. Il fattore età, evidentemente, non ha mai contato tanto come ora”.
Diamanti poi spiega come Renzi si sia mangiato il consenso di tutti i partiti, compreso il suo:
Un mese dopo il voto europeo, il Pd appare, dunque, l’unico riferimento – e l’unico partito – della scena politica nazionale. Mentre FI e l’intero centrodestra sono alla deriva. In cerca di leadership e di identità (Il Ncd e Alfano: dove e con chi stanno?) E il M5S risulta ridimensionato, oltre la sua stessa “dimensione” reale, dalle attese generate dai leader, in campagna elettorale. Perfino la sinistra – nono- stante il buon risultato ottenuto da Tsipras – appare scossa da tensioni interne. Non a caso il consenso personale di Vendola, leader del principale partito di quest’area, risulta molto basso. Il problema, semmai, è che neppure il Pd sembra aver tratto slancio dal voto.
Appare, infatti, diviso ma, soprattutto, gregario. All’ombra del leader. Perché gran parte di quel 40,8% è stato intercettato da Matteo Renzi. Non per caso, nei 214 Comuni maggiori al voto in cui era presente (Osservatorio Elettorale LaPolis-Università di Urbino), il Pd ha ottenuto il 44.5% dei voti validi alle europee, ma il 31.8% (dunque 13 punti in meno) alle comunali. Dove Renzi, ovviamente, non si poteva candidare. D’altra parte, il 30% degli italiani afferma di aver votato, alle europee, in base alla fiducia verso il leader del partito scelto. Prima e più che per ogni altra ragione: programmi, ideali, orientamento di partito. E la motivazione “personale” del voto risulta molto più forte fra gli elettori del Pd: 47%. Più che per il Pd, insomma, gli elettori hanno votato per il PdR. Il Partito di Renzi.
D’altronde, si assiste all’ulteriore degrado del rapporto fra i cittadini e i partiti. […] Per questo la fiducia verso Renzi – ma anche verso Salvini e Meloni – è significativa. Indica una domanda di cambiamento, che va “oltre” – e, semmai, “contro” – i partiti. E si orienta e concentra sulle “persone”. In particolare, sugli outsider. Si delinea, così, un’iper-democrazia iper-personale. Che, al fondo, solleva qualche inquietudine, sul futuro della democrazia rappresentativa. Ma anche sulla democrazia senza aggettivi.