MOSCA – L’arrivo di Fabio Capello a Mosca potrebbe scrivere l’inizio di un nuovo capitolo del calcio mondiale: quello in cui la Russia torni ad essere una potenza, una delle nazionali più forti.
L’allenatore italiano aveva davanti a sé una lista di 13 potenziali coach della nazionale russa. Ma li ha superati tutti: sarà l’undicesimo a sedersi su quella panchina dalla fine dell’Unione sovietica. Per la non facile missione il sessantaseienne friulano sarà foraggiato con 10 milioni di euro all’anno. Non sarà facile infatti trovare una rosa di undici russi che componga una squadra di livello “mondiale”.
Difficile perché tempo non ce n’é: l’età media degli attuali nazionali si sta alzando troppo e le qualificazioni per i mondiali brasiliani del 2014 sono dietro l’angolo (primi di settembre). E poi la Russia ha un appuntamento ancora più importante, al quale non dovrà assolutamente sfigurare: ospiterà il campionato del mondo di calcio del 2018.
Missione difficile, nella quale hanno fallito altri tecnici titolati come gli olandesi Dick Advocaat – eliminato agli europei dopo una sconfitta con la scalcagnata Grecia – e il suo predecessore Guus Hiddink, che aveva preferito andare ad allenare la squadra dell’Anzhi Makhachkala in Daghestan piuttosto che continuare a guidare la Russia.
Ai russi non manca il denaro e neanche il talento, se si pensa a giocatori del calibro di Andrei Arshavin e di Alan Dzagoev. Il problema la mancanza di ricambio, di una “primavera” di giovani degni della nazionale. E poi c’è la fragilità caratteriale, la mancanza di costanza che non è solo un difetto di Arshavin. Gli ultimi europei, in cui la Russia è passata dall’impressionante 4-1 col quale ha asfaltato la Repubblica Ceca al deludente 1-1 con la Polonia, per finire con l’umiliante 0-1 subito dai greci. Il ritorno a Mosca non è stato dei più tranquilli per calciatori e staff della nazionale.
Se i russi sono inquieti, non va diversamente alle altre federazioni nazionali: proprio Capello aveva lasciato la guida dell’Inghilterra prima di Euro 2012 e appena è finito il torneo, la Francia ha salutato Laurent Blanc, la Polonia ha congedato Franciszek Smuda, l’Olanda ha sostituito Bert van Marwijk, mentre Slaven Bilic ha lasciato la guida della Croazia.
Se il contesto è dei più incerti e più scivolosi, la fama di vincente di Capello supera il recente ricordo del suo sostanziale fallimento come coach della sempre poco vincente Inghilterra. Ha vinto scudetti con il Real Madrid (in due decenni diversi), con la Juventus, perfino con la Roma (unico tecnico italiano riuscito nell’impresa).
Ma l’inizio e la sua impresa più grande è legata al Milan. Tutti ricordano quel 4-0 con il quale nel maggio 1994 i rossoneri umiliarono in finale di Coppa dei Campioni il Barcellona allenato da Johan Cruyff. Una squadra di stelle come Pep Guardiola, Romario, Hristo Stoichkov, Ronald Koeman. Il Milan partiva sfavorito, con assenze di peso come quella di Baresi, Van Basten e Costacurta. Finì con un monologo rossonero, sotto gli occhi di un trionfante Silvio Berlusconi, fresco presidente del Consiglio nell’anno d’oro della “discesa in campo”.
Di 596 partite che Capello ha vissuto da allenatore, quel 4-0 è stato il migliore spot per la sua reputazione, il lasciapassare per ottenere stipendi che altri tecnici possono solo sognare.
La trattativa con la federazione russa è stata degna di una spy story: Capello è sgattaiolato a Mosca la scorsa settimana per incontrare i dirigenti della Rossijskij Futbol’nyj Sojuz, la loro Federcalcio. Il meeting è stato così segreto che Capello è stato trattenuto in aeroporto per ore: era atterrato senza visto d’ingresso.
Il resto è storia di queste ore: contratto di due anni, accoglienza da “numero 1 al mondo” e due interpreti, Igor Shalimov e Dmitry Alenichev, vecchie conoscenze del calcio italiano.