TOKYO – Trecento tonnellate di acqua contaminata dalle radiazioni vengono rilasciate nell’oceano Pacifico dalla centrale nucleare di Fukushima ogni giorno. Una radioattività dispersa nell’ambiente che è 9 volte superiore a quella di Chernobyl, secondo uno studio tedesco. Ma l’acqua contaminata continua a essere immessa nel Pacifico, questa l’ammissione dell Tepco, che ha però sottolineato come l’oceano, data la sua grandezza, non avrebbe nulla da temere. Intanto l’acqua viaggia verso la California, dicono diversi studi, ma senza danni. Questa la rassicurazione che nell’estate del 2013, a oltre 2 anni dallo tsunami, è arrivata dal Giappone.
Alberto Annicchiarico sul Sole 24 Ore dello scorso novembre ha spiegato:
“John LaForge, di Nukewatch, ha calcolato in un articolo su Counterpunch 80mila galloni al giorno. Equivalgono a poco più di 300 milioni di litri negli oltre 950 giorni trascorsi dall’11 marzo 2011, quando uno tsunami di 10 metri prodotto dal sisma più forte della storia del Giappone (di magnitudo 8,9) inflisse una ferita profonda alla centrale. In quanta acqua finiscono questi litri. Un calcolo approssimativo spannometrico porta ad azzardare che nell’oceano Pacifico di litri ce ne siano 1500 miliardi di miliardi. Un bel po’ di più. All’apparenza, ampiamente sufficienti ad attenuare il danno”.
Orsi polari che perdono il pelo, salmoni e pesci contaminati. Il “senza danni” per l’ambiente, spiega Annichiarico, non sembrerebbe essere tale:
“Nei tonni catturati sulla costa americana è stato documentato il ritrovamento di quantità non preoccupanti di Cesio 137 e 134 (tempo di dimezzamento rispettivamente 30 e 2 anni), nettamente inferiori ai limiti di sicurezza statunitensi di 1.200 becquerel per chilo e comunque più bassi perfino di radionuclidi di norma presenti nei pesci come il Potassio 40 e il Polonio 210 (deriva dai fertilizzanti). Il Cesio 134, in ogni caso, è la “firma” di Fukushima, vista la breve durata. Più pericoloso lo stronzio 90 (emivita 28 anni), che viene espulso con minore facilità dall’organismo e può provocare tumori ossei”.
Nonostante la campagna di sicurezza lanciata dal governo giapponese, i dubbi rimangono:
“Ma in definitiva, quanto si può essere certi che le ingenti perdite di acqua radioattiva dalla centrale non finiranno per devastare l’oceano, già messo a dura prova da inquinamento e pesca intensiva? Uno studio pubblicato a metà 2012 dal Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania ha cercato di misurare le conseguenze e ha costruito un modello in base al quale è possibile, in un video, seguire lo spostamento della massa d’acqua contaminata. La conclusione è che entro il 2013 l’inquinamento radioattivo sia esteso all’intera metà del Pacifico nord-occidentale e che nell’arco di 5-6 anni tocchi le coste americane”.
E le rassicurazioni possono tranquillizzare ben poco, se si considera il risultato finale dei livelli di radioattività:
“Unico particolare, lo studio tedesco si riferisce alla radioattività sversata in corrispondenza dell’incidente, dall’11 marzo 2011 e nelle prime settimane. Dieci petabecquerel (un petabecquerel equivale a 10 becquerel alla quindicesima) in tutto. Oggi potremmo essere arrivati, siamo sempre nel campo delle stime, a oltre 900. Chernobyl ne disperse 110”.
Si può essere davvero sicuri che le radiazioni non producano danni irreversibili all’ambiente, nonostante l’esperienza di Chernobyl e i disagi che l’esplosione delle centrale crea ancora oggi?
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