“Renzi faccia il presidente, non il segretario”: consiglio dall’ex consigliere di D’Alema

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Luglio 2013 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
"Renzi faccia il presidente, non il segretario": consiglio dall'ex consigliere di D'Alema

Claudio Velardi nella foto di LaPresse

ROMA – Il segretario (del Pd) e il presidente (del Consiglio): cosa dovrebbe fare Matteo Renzi da grande? Fare tutti e due i lavori non è mai riuscito a nessuno (chiedere ad Achille Occhetto, Walter Veltroni e Pier Luigi Bersani), fare solo il segretario non gli riuscirebbe tanto bene. Allora meglio puntare dritto al governo di un ingovernabile Paese, piuttosto che alla faticosa conquista di un altrettanto ingovernabile partito.

Il consiglio gli arriva da uno che fa il consigliere di professione, un ex dalemiano, il più spregiudicato fra i spregiudicati, Claudio Velardi, lobbista a capo di Reti spa. Nel 1998 arrivò a Palazzo Chigi con i “D’Alema boys”, i “Lothar” del Lider Maximo: Fabrizio Rondolino (che con Velardi cura thefrontpage.it), Nicola Latorre, Marco Minniti.

Velardi, intervistato da Goffredo Pistelli per Italia Oggi, spiega perché Renzi mai e poi mai dovrebbe perdere tempo con la lotta per diventare segretario pd:

“Io capisco l’incertezza di Renzi. Si chiede se questo partito sia riformabile o no. Perché comunque, con questo sistema, politico prima che elettorale, il Pd rappresenta un serbatoio di voti, uno dei poli in campo, e comunque non scomparirà dalla scena, essendo uno spazio politico che non si svuota. Il problema è che non veicola valori comuni […] Ci sono dirigenti che la pensano tale e quale a Nichi Vendola e altri che, a volte, sono sulla stessa lunghezza d’onda di alcuni del Pdl, anche se non possono dirlo. È lo stesso sistema favorisce le spinte centrifughe e che massimizza le rendite di posizione. E questo varrà per tutto, anche per le candidature a segretario, vedremo di tutto […] L’esempio viene bene sulle scorse primarie di coalizione: Laura Puppato. E chi la conosceva? Ebbe la brillante intuizione di candidarsi, fu «endorsata» da Concita De Gregorio su Rep. ed è divenuta una leader, non si sa bene in nome di che cosa o di chi. Perché ci si muove in un sistema chiuso, con un rapporto con l’elettorato che è inesistente, dato che si procede per nomine, e un rapporto con la base che, a sua volta, è deformato […] Farsi eleggere segretario vuole dire stare all’interno di questo sistema che produce strappi e rendite. Dovrebbe essere il contrario”.

Velardi propone il modello del Partito Democratico americano. Dove il segretario è al servizio del candidato presidente. Tutti conoscono Barack Obama, pochissimi fuori dalla costa Est degli Stati Uniti conoscono Debbie Wasserman Schultz, segretario dei democratico che, da statuto “si occupa anticipare l’agenda politica di Obama, assicurare la sua rielezione, eleggere candidati democratici nel Paese e promuovere i valori democratici”. Secondo Velardi:

“Bisognerebbe che Pd chiamasse tutta l’Italia democratica o aspirante democratica per eleggere candidato premier di un a partito a chiara vocazione maggioritaria. Come accade negli Stati Uniti dove le primarie sono una cosa seria. Dopodiché, con un percorso inverso, scegliere il segretario. Che appunto deve essere tale. […] No, a Renzi non conviene portarsi dietro zavorra, contrastare i sette nani che poi, inevitabilmente, diventeranno 14 o 21. […]
Guardi, le faccio l’esempio di Napoli, città che conosco bene. Renzi aspirante segretario, a Napoli che cosa dovrebbe fare? Lì il Pd è una giungla: ci sono apparati, ci sono clientele, ci sono anche persone non sempre raccomandabili. E Renzi? Chi dovrebbe battezzare là come renziano? Qualunque cosa faccia, perderebbe l’appeal dell’elettorato che quell’establishment detesta. […] Il Pd è parte del sistema feudale, fatto di caste che si autotutelano. A chi rispondono i candidati del Pd? In genere si dice: «Alla base». Ma quella che definiamo base è ormai un apparato esteso, persone che vogliono scalare posizioni interne, che puntano a candidature future. Oppure persone che vogliono ricevere risarcimenti ideologici e che, nel 2013, fanno ancora il dibattito nei circoli. E va a finire che, per lisciare questa base, si prendono posizioni sempre più di sinistra. No, Renzi parli al Paese per rieducare anche quella base. […] Se deve parlare agli Italiani, Renzi deve dire come si governa un Paese, altro che dibattito ai circoli. […] Renzi faccia il suo think tank, raduni le energie migliori, chiami a se i sindaci, produca pensiero, non stia ad aspettare e basta. […] Lui è stato percepito come Rottamare e la rottamazione, ché ché gli dicano alcuni dei suoi, resta il suo valore più positivo e creativo, la grande risposta al sistema chiuso e castale. Chi cerca di ingabbiarlo nel Pd lo danneggia. […] D’Alema è un grande tattico, un uomo molto intelligente, ha cercato di forzare la mano, conducendo Renzi dentro il recinto del partito. L’altro se n’è accorto e ha detto «no grazie». […] Renzi se ne stia fuori, per l’amor di Dio, se ne stia per conto suo: costruisca luoghi di pensiero, di elaborazione, si tenga pronto”.

La disistima di Velardi per l’apparato e la direzione del Pd non è nuova, così come l’idea che uno staff, un “think tank”, conti di più di milioni di iscritti:

“Fu la giornalista Alessandra Sardoni a pubblicare nel suo bel libro sulla crisi del centrosinistra (Il fantasma del leader, Marsilio) un documento inedito dei tempi di Palazzo Chigi. Lo avevano scritto, nel luglio 1997, sempre loro: Velardi e Rondolino. Profetizzava una strategia per portare il lìder al Quirinale: Ma era il tono dell’analisi prospettata a D’Alema a suonare choccante:

“Il partito, inteso come ceto politico, è un cane morto. Il suo stato – si leggeva nel testo – è sotto ogni punto di vista desolante: il gruppo dirigente nazionale è in buona parte formato da inetti, i gruppi dirigenti locali sono del tutto al di sotto della funzione. Sarebbe illusorio credere che la nascita della Cosa 2 possa diventare l’occasione per una rifondazione del partito, che non può essere rianimato. Dobbiamo aggirare l’ostacolo. Si potrebbe parlare di una crescente ‘staffizzazione’ del Pds. Dobbiamo pensare il Pds come una delle componenti del comitato elettorale di Massimo D’Alema”.