Una serie di messaggi scambiati tra due prelati sarebbero alla base della riapertura dell’inchiesta del caso Emanuela Orlandi da parte della magistratura vaticana. Pietro Orlandi, fratello della 15enne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, ha infatti allegato alla nuova denuncia alcuni screenshot di chat Whatsapp tra due religiosi, a suo dire “vicini a Papa Francesco”, che non sono in alcun modo indagati ma che potrebbero essere sentiti dai pm vaticani come persone informate sui fatti qualora la circostanza fosse verificata.
Alessandro Diddi ha annunciato ieri, 9 gennaio, la riapertura delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Il pubblico ministero del Papa ha fatto sapere che l’iniziativa è legata alle istanze presentate dal fratello di Emanuela, Pietro. E all’interessamento di Papa Francesco, che aveva indirizzato verso la giustizia vaticana la legale della famiglia Laura Sgrò. Tutto è accaduto quasi un anno fa. Dopo il documentario di Netflix che rispolvera la pista dell’”Alto Prelato“, il Vaticano si è mosso.
I messaggi tra due persone vicine a Papa Francesco
Le conversazioni, ricorda Il Fatto Quotidiano, fanno riferimento a due persone un tempo vicine a Jorge Mario Bergoglio. Uno è monsignor Lucio Vallejo Balda, condannato nel 2016 a 18 mesi di carcere nel processo Vatileaks 2. L’altro è il cardinale Santos Abril y Castello. Entrambi non c’entrano nulla con la scomparsa di Emanuela Orlandi. Ma potrebbero essere in possesso di documenti sul caso. “Devi andare per questa strada… (…) però bisogna risolvere perché questa è una cosa molto grave… (…) lo dobbiamo dire (…) al Comandante della Gendarmeria? (…) No, no, assolutamente… ma che scherzi, assolutamente no!””, recita uno dei testi.
Il dossier su Emanuela Orlandi
Il 22 settembre 2017 i giornali italiani portarono alla luce una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998 inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo era “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)“. Si parlava di un totale di 483 milioni di spese riepilogate in una serie di giustificativi. Giustificativi che però non erano allegati alla nota. Questi potrebbero essere conservati in una cassetta di sicurezza nella sede del Banco Santander a Madrid, in uso proprio da Balda. Questo secondo la tesi della giornalista Maria Giovanna Maglie nel libro “Addio, Emanuela”.
Secondo questa tesi il dossier con le spese sarebbe stato redatto da chi “o non conosce le procedure del Vaticano oppure le conosce talmente bene da essere in grado di modificarle ad arte per far pensare a un falso” allo scopo di “inviare un segnale ben preciso”. Si tratta di una pista che porta a porsi ulteriori interrogativi.
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