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Matteo Messina Denaro e l’Alfa comprata in contanti: non c’è bisogno della mafia…

Entra un signore nei locali della normalissima e legalissima concessionaria automobilistica. Il signore vuole realizzare una permuta, legalissima e normalissima operazione di vendita della vecchia auto acquistandone una nuova e, ovviamente, pagando la differenza di valore tra i due mezzi. Il signore è un cliente per la concessionaria e come cliente, qualunque cliente, parla e contratta con qualcuno, forse più d’uno della concessionaria: impiegato, funzionario, addetto alla vendita che sia. E con tutta e totale naturalezza raggiungono l’accordo: la vecchia auto al concessionario più diecimila euro in cambio della nuova auto (per inciso un’Alfa Romeo) al signore/cliente/acquirente. Con tutta e totale naturalezza i diecimila euro vengono pagati in contanti. Quando pagare in contanti una simile cifra era (lo è tuttora) fuori legge, insomma vietato. E vietato non a caso, perché pagando grosse somme in contanti si riciclano, si ripuliscono i soldi, guada caso anche quelli di provenienza mafiosa. Diecimila in contanti in una concessionaria di auto ma anche in una gioielleria o in uno studio professionale o anche in un negozio poltrone e sofà…dovunque dovrebbero accendere cautela e provocare un “no, grazie, così non si può”. Ma nella concessionaria dove è andato a comprarsi l’Alfa quel signore non succede e non succede in una infinità di luoghi della Sicilia e dell’Italia. Quel signore dell’Alfa era Matteo Messina Denaro ma poteva essere chiunque, non c’è bisogno della mafia per vendere e comprare ad un “grigio” dove tutti i soldi non hanno odore e ogni regola o legge viene rigettata o elusa come cosa dal rancido sapore.

I diecimila, l’Alfa e i giornali

Con dovizia di particolari, rimandi, suggestioni cinematografiche, nostalgie, perfino schede tecniche al riguardo, giornali e televisioni hanno approfondito, fatto approfondimento cartaceo, verbale e visivo sulla cosa che ha toccato la loro sensibilità e quindi la loro vocazione divulgativa-informativa: l’Alfa Romeo. Matteo Messina Denaro s’era fatto l’Alfa. L’Alfa, quella che corre. L’Alfa, te la ricordi, quella pure della Polizia. Boss con l’Alfa, boss e motori, Alfa colore nero quella di Matteo. Dove la teneva? Quanti chilometri ci faceva? Si attendono approfondimenti sia sul certificato assicurativo che sulla tappezzeria interna. E poi, dove la portava a lavare? Dei e sui diecimila euro pagati in contanti ovunque o quasi una nota del tutto priva di “approfondimento”. Perché nessuno stupore per quell’illegale pagamento in contanti? Perché nell’Italia reale il pagare grosse somme in contanti è stato ed è a volte complicato ma mai davvero vissuto come sostanziale oltraggio alla legalità. Anzi, alla normalità. Negli Usa, in Canada, in Giappone, in Germania, forse anche nelle Filippine o in Costarica presentarsi con un pacco di banconote a comprare un’auto non determina automaticamente che il venditore chiami la polizia ma automaticamente determina che il venditore si incuriosisca del cliente. Da noi in Italia quell’incuriosirsi non scatta. Non scatta perché ignorare la legge in materia di riciclo è sport e gioco nazionale? Non proprio, dirla così è generico e moralistico. E soprattutto superficiale. Più al fondo, là dove il commento raramente si avventura, c’è il perché non c’è bisogno della mafia perché un Matteo Messina Denaro possa comprarsi un’auto tirando fuori una mazzetta di contanti. Questione di identità.

Prossimità e cittadinanza

Si dice, si vuole e al fondo si spera che sia la paura, la paura della violenza mafiosa, a fare di molti cittadini dei “neutrali” tra Stato e mafia. Si dice, si vuole e si spera sia una “neutralità di necessità”, quei cittadini sarebbero costretti ad una neutralità sostanzialmente benevola verso la criminalità organizzata dalle minacce, dalla paura. Sarebbero (si dice, si vuole, si spera) cittadini omertosi per costrizione, se solo potessero sarebbero invece cittadini attenti custodi della legalità, a partire dalla legalità del loro quotidiani vivere associato. Si dice sia così, si vuole sia così, si spera sia così…Ma così non è. In molti “territori” del nostro vivere associato l’identità di prossimità vale e comanda molto più e di più dell’identità di cittadino. L’identità di prossimità è quella cosa per cui tutti vogliono severissima punizione per l’evasore fiscale, purché sia “grande”, “speculatore” e abitante di un “altrove”. Se l’evasore fiscale è il proprio macellaio, commercialista, idraulico o carrozziere, allora poverino che doveva fare, morire di tasse? L’identità di prossimità è quella cosa per cui sempre e comunque, ad ogni denuncia di molestie, tutte le donne si sentono in etico e ineludibile dovere di essere certe della colpevolezza di qualche maschio. E, se così non fosse da successiva sentenza, allora sarebbe “stuprata due volte”. L’identità di prossimità è quella cosa per cui i genitori coprono e proteggono il loro figlio/a ignorante e pure violento a scuola, son tutti “ragazzi sensibili” a mamma e papà loro. L’identità di prossimità è quella che grandi comparti di “gente” riconoscono prima e prioritaria rispetto all’identità per loro astratta di cittadino. E l’identità di prossimità chiama, elabora, pratica e perfino omaggia una corrispondente omertà. Omertà di prossimità. Territoriale, di corporazione, lobby, genere, sindacale, mestiere. Non c’è bisogno della mafia perché in Italia un Matteo Messia Denaro o anche un signor Bianchi o Rossi si compri un’auto pagando diecimila in contanti. Era un cliente ed è stata questa l’identità di prossimità che valeva e contava davvero.

 

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