Si usa attribuire a Winston Churchill la frase-identikit del carattere italico quando le cose della storia si fanno pesanti: “Gli italiani vanno alla partita di calcio come andassero in guerra e vanno in guerra come andassero ad una partita di calcio”. Calzante o meno, di Churchill o meno, la frase andrebbe aggiornata: gli italiani vanno alla guerra come fosse Sanremo. Non c’è aggettivo a misura, non c’è forma verbale che possa esprimere appieno la miseria intellettiva e intellettuale, l’inconsapevolezza tronfia, l’incoscienza baldanzosa, la strutturale, completa, idolatrata incapacità di essere seri che è alla base, risale il tronco, abbraccia i rami e carezza fiori e frutti dello Zelensky a Sanremo sì, Zelensky a Sanremo no.
Ovviamente non si lesina sul grottesco: il comico italiano che divenuto capo politico pubblicamente disprezza Zelensky che da attore si è fatto politico. Ovviamente deborda come pessimo sugo da untissima pietanza il livore verso questo che non si è arreso, non si arrende e ci rompe le scatole con il disturbo della guerra. Ovviamente si abbonda in en travesti: lo si fa per la pace. Una tavolozza con molti colori, ma quello dominante è il tratto carnevalesco, la gioiosa e istintiva partecipazione-adesione alla sceneggiata, alla recita, allo show. Se allo spirito pubblico della nostra nazione oggi si chiedesse della gravitas che compete ai ceti dirigenti in tempo di guerra, risposta sarebbe di certo o magari un balbettio sulla gravità. Alla guerra come fosse Sanremo e, ovviamente, a Sanremo come fosse una guerra.