Chiamiamolo Gigi scrive la brava giornalista che lo ha scovato (è il caso di dirlo) e che giustamente scrive “gli va garantito l’anonimato”. Sì, gli va garantito nome e cognome veri non siano sventolati in pubblico, per umana pietà (cosa che Gigi ha mostrato, in sole esplicite quattro smozzicate parole in fila di ignorare o comunque disprezzare). Chiamiamolo Gigi il diciottenne (mica un pupo o una creatura, insomma un bambino e neanche un ragazzo) studente (?) all’Archimede di Ponticelli che la brava giornalista in due righe informa non essere emarginato, indigente, lasciato indietro dalla sorte, dalla società, dalla famiglia, dallo Stato… L’unica povertà stringente di Gigi è quella dell’elementare cultura, umana molto prima che umanistica. Gigi insomma, se mai gli si potesse attagliare la definizione e il ruolo di vittima di qualcuno o qualcosa (e onestamente no si può) è vittima di se stesso. Quindi…
Chiamiamolo Gigi e lasciamolo indietro
La scuola con Gigi, qui e adesso, non dovrebbe essere pietosa. Se lo farà, farà come il medico pietoso che fece la piaga purulenta. Con raziocinio e volontà Gigi ha mostrato, messo per iscritto, che lui la scuola la schifa. E che, se la scuola non prende atto di questo suo schifarla, per lui la scuola è inutile, anzi, meglio, per Gigi la scuola non può essere utile. Quello scrivere in dialetto sfregiante (so tutt muort abbruciat) è un voluto sfregio, sfregio alla scuola molto prima, nella testa di Gigi, che sfregio ai milioni di morti ammazzati nella Shoah. La trascrizione letterale del dialetto, la voluta gutturalità della frase non è perché Gigi non sappia parlare altrimenti, è che Gigi sceglie questa forma di vergato grugnito per mandare a vaffa la scuola, la scuola tutta. E’ la scuola il bersaglio di Gigi, la scuola tutta, non solo quella che gli impone il fastidio di un tema in classe. Gigi il tema lo fa in quelle quattro coltellate in forma di parole. E, stando così le cose, e così stanno, la scuola per Gigi non può fare nulla. La scuola non può arrivare alla profondità dell’indolenza violenta, non può arrivare (letteralmente) a comprenderla. Cioè a farsene carico nella sua funzione formativa. non può, a meno che…
A meno che non sia politicamente scorretta
Ma umanamente giusta. A meno che la scuola (il suo Istituto ma la scuola tutta intesa come istituzione, cultura, sentimento civile) non sappia essere quando manifestamente occorre politicamente scorretta, la scuola per Gigi non può fare nulla. Politicamente scorretto ma umanamente giusto e buono è che la scuola dica a Gigi: ti lasciamo indietro. Supremo tabù: la scuola non lascia nessuno indietro! Versione inconsapevolmente ma efficacemente neo corporativa del dovere sociale della scuola (e della società e dello Stato) di garantire a tutti di partire. Ne è venuto fuori il Frankenstein del “diritto al successo scolastico”. Può, deve la scuola lasciare indietro, potremmo dire in flagranza, Gigi di Ponticelli e quanti altri si manifestassero nelle scuole superiori? Deve, dovrebbe. ma chissà se può e se sa farlo. Lasciarlo indietro, almeno per un po’. Gigi se lo è meritato, eccome se se lo è meritato. Prendendo volutamente per i fondelli milioni di umani bruciati nei forni crematori e prendendo per in fondelli la scuola che glielo ricordava. Una scuola (e una società) che educano e formano (come loro dovere e mestiere) adulti avvezzi ad essere brava gente i Gigi li tiene fuori, li lascia indietro. Per un po’, mica a vita. Ma per un po’ che si veda grande e chiaro. Una scuola (e una società) che hanno come missione e valore l’irresponsabilità e i vittimismo violento accettano invece le “scuse” che pare Gigi abbia già formulato. Anche stavolta in dialetto? Magari in italiano che per Gigi è una lingua finta.