Beppe Grillo ha rimediato sentenza avversa emessa dalla Corte di Appello di Bari. Più o meno e in sintesi: Grillo in tv (ad Anno Zero, quindi in zona confort) disse che pur di boicottare il referendum sull’acqua una parlamentare del Pd si era data malata, su ordine delle multinazionali, alla votazione decisiva. La suddetta parlamentare querelò con il forte argomento di un ricovero d’urgenza in ospedale e non per un mal di capo. Carte alla mano, fatti accertati e anni dopo condanna per Grillo, condanna per diffamazione. Ma non è questo il punto, il focus della notizia non sono né Grillo né la diffamazione. C’è altro in quella sentenza.
Menzogna denigratoria, non si può!?
Dice la sentenza che, letterale, la “menzogna denigratoria” non si può. Non si può quindi, non si potrebbe dire dell’altro/a la qualunque che ci passa per la testa e la qualunque che ci pare? Se così davvero si stabilisse il rischio concreto è quello di mettere in ginocchio interi comparti produttivi. Senza il diritto all’esercizio della “menzogna denigratoria” che ne sarebbe del quotidiano scambio tra politici via mass-media e piattaforme varie? Che ne sarebbe dei talk-show, conduttori, maestranze e ospiti in cassa integrazione e avviati al pre pensionamento? Senza il diritto e la libertà di “menzogna denigratoria” buona parte dei prodotti in edicola e sul web appunto “in ginocchio”, privati della linfa vitale e della ragione aziendale. E che ne sarebbe dei social, della loro anima profonda e pop? Togliere al denigrare il dovuto sostegno della menzogna e al mentire la funzione (e il piacere) sociale del denigrare è intenzione liberticida e soprattutto destabilizzante degli equilibri, usi e costumi sociali vigenti. Per fortuna velleitaria intenzione. Giù le mani dalla menzogna denigratoria, al come viviamo mancherebbe come l’aria ai polmoni.