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Catania si sioglie nel caldo, i mitici Cavalieri sostituiti da fantini che pensano a Roma e al grande potere

Catania era la Milano del Sud, la città dei Cavalieri del lavoro che lavoravano ovunque nel mondo.

I Graci, Costanzo, Finocchiaro, Rendo, ma poi altri come Virlinzi, Ciancio, Pistorio che ha fondato l’Hightech dell’Etna Valley. Era una città a trazione industriale, la politica c’era, c’è stato Nicolosi, Drago, Andò.

Ma la guida sociale era in mano all’impresa, lo stesso Santapaola, boss mafioso, era un imprenditore. Poi qualcosa è cambiato, la fine dei cavalieri del cemento ha rotto un meccanismo. La città greca, commerciale e attiva ha lasciato il passo a nuovi attori, con smisurata voglia di protagonismo, i nuovi politici.

Costoro più che concentrarsi su Catania aspiravano a governare la Regione, ad andare a Palermo e Roma, dove stava il Potere. Lombardo, Musumeci, Urso, La Russa, Pogliese, Stancanelli, Firrarello. Tutti costoro più che rinvigorire le strutture, i servizi, l’efficacia e l’efficienza cittadina si sono concentrati su crescite esterne al territorio.

Bramavano, da amanti frustrati, la dolce muliebrica attrazione del potere isolano, Palermo, molle e languida, ed alla fine ne hanno preso modi e costumi. Grande retorica, vittimismo, i piaceri della rappresentanza politica più che la fatica del costruire.

Intanto Catania veniva abbandonata, riempita di medio piccoli ma frenetici imprenditori, che consumavano suolo, servizi, appalti. Ma senza una strategia complessiva, delle laboriose formiche che sovrastrutturavano il formicaio catanese. Poi arriva un’onda di caldo ed il formicaio si liquefà. Catania ora è in ginocchio, senza aerei, luce, acqua.

Senza le risorse fondamentali, con un Comune al dissesto, con pochissime risorse umane, e tanti reucci politici, tra Palermo e Roma. Mai come oggi Catania a Roma e a Palermo è al potere. Mentre la città sta diventando liquida sotto un sole rovente. U Liotru, nella piazza principale, vede tutti ‘sti cavalieri, oggi fantini, cadere sul basolato incandescente di pietra nera.

È la vendetta del palermitano Don Fabrizio nel suo monologo verso il piemontese Chevalley, che gli prospettava un nuovo mondo pieno di efficienti opportunità. È voglia di oblìo.

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