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Italia sedotta e abbandonata dai politici: referendum Segni sul maggioritario del ’91 tradito per salvare i partiti

Perché gli italiani vanno a votare sempre meno numerosi? Perché non hanno più fiducia nei partiti e nei politici?
La risposta è in quanto accadde agli inizi degli anni ‘90 quando il tritacarne dei partiti svuotò e stravolse la volontà popolare emersa dal referendum cui diede nome Mario Segni.
Il 95% dei votanti, e fu una adesione eccezionale, si espresse a favore del sistema maggioritario
E il sistema in uso negli Usa e in Gran Bretagna e prima del fascismo anche in Italia.
In Usa e Gb, rafforzato dal quadro costituzionale, consente una notevole stabilità di governo.
Solo Nell’Italia post unita non fu sufficiente a evitare ribaltoni.
Il maggioritario, basandosi su collegi elettorali chiusi, la cui formazione è determinata da elementi geografici, sociali e anche di classe e in cui la scelta è limitata a un solo vincitore fra i tanti possibili candidati, presenta il rischio che il risultato complessivo dei parlamentari eletti non rispetti la volontà del corpo elettorale.
Così in America ha vinto Trump che ha conquistato più collegi (in questo caso costituivano collegio elettorale i singoli stati dell’unione) pur avendo Hilary Clinton ottenuto la maggioranza del popolare.
Purtroppo la perfezione non è di questo mondo.
La strada scelta dai partiti in Italia fu innanzi tutto quella di preservare se stessi, consapevoli del fatto che col maggioritario di stile anglosassone i partiti si sarebbero ridotti a due massimo tre.
Fu edulcorata la formula tedesca della soglia di sbarramento al 5% dei voti, riducendola al liberi quasi tutti del 3%.
C’è da dire, alla luce delle recenti elezioni in Germania, che neanche questo sistema è ideale.
Si scelse un facsimile di bipolarismo che mantenesse in vita i vecchi partiti.
Fu così che Berlusconi andò al governo, aggregando al circa 30% dei voti di Forza Italia lo spezzone della Lega e quello dei post fascisti, che lui con un colpo di genio e spregiudicatezza fece uscire dalle fogne cui li avevano relegati gli slogan del ‘68.
Sul fronte opposto, il vizietto comunista di sterminare gli alleati (andò bene in Russia, un po’ meno in Spagna) portò alla scomparsa di due partiti storici della Repubblica nata dalla Resistenza, il socialista e il democristiano e alla assenza di una possibile opposizione a Berlusconi fino alla effimera esperienza dell’Ulivo.
La fragilità del sistema bipolare italiano è stata dimostrata in almeno due occasioni.
In entrambe a far cadere il castello di carte furono partiti minoritari.
Ai tempi del primo Berlusconi fu la Lega di Umberto Bossi. Per l’Ulivo di Romano Prodi fu il minuscolo partito di Fausto Bertinotti.
Veniamo a oggi. Giorgia Meloni vive male in una coalizione di partiti biologicamente diversi dal suo e da lei stessa.
Tanto basta a comprendere il suo desiderio di mettere il guinzaglio a Salvini e Tajani.
Non giustifica lo strumento che sfiora i limiti del colpo di Stato.
Non si comprende invece la estrema litigiosità dei tre principali partiti di opposizione, Pd, M5S e Calenda. C’è da sperare che lo facciano per meglio posizionarsi nel beauty contest dei voti delle europee (proporzionale puro) e che deporranno le armi alla vigilia delle elezioni, quali che siano.
Se si sommano i voti dei tre partiti si constata che sono più di quelli della cosiddetta destra.
Ma fu così anche nel 1924 con Mussolini.
 

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