Ita (Alitalia)-Lufthansa, ombra sinistra di Air France: Parigi pesa a Bruxelles più dei tedeschi, l’Italia zero.
Ricordate Alitalia? Si potrebbe scrivere come all’inizio di ogni favola “C’era una volta”.
E’ storia passata, adesso non c’è più, ma il suo è stato un declino lento e, per certi aspetti, doloroso. Pieno di incertezze, di alti e bassi che, dopo tanti anni, non si è ancora risolto.
Chi ha da anni i capelli bianchi (come chi scrive) ricorda i tempi “eroici” della nostra compagnia di bandiera.
Per chi è stato giornalista tout-court l’aereo era diventato il suo mezzo di locomozione preferito. Come la macchina per un impiegato che deve andare ogni giorno in ufficio.
Piloti super, hostess garbate e gentili, un supporto encomiabile per la persona che doveva fare un lungo viaggio.
E’ tutto svanito perché la crisi economica ha coinvolto naturalmente anche l’Alitalia.
Fine di un fiore all’occhiello.
È da allora che sono cominciati i guai prima con i licenziamenti e le pensioni “forzate”, poi con la cassa integrazione.
Lo Stato ha cercato in tutti i modi di salvare il salvabile con prestiti di milioni, tentativi di evitare il crack pure con l’aiuto dei privati. Tentativi inutili. Gioco forza, tentare una vendita onerosa che non avrebbe cancellato del tutto il passato. Ecco, tra i primi a presentarsi i francesi con la loro compagnia, l’Air France, consolidata e forte sotto tutti i punti di vista.
Lunghe trattative, tavoli aperti, discussioni a non finire in cerca di un accordo.
Quando a un certo punto sembrava che la trattativa andasse in porto i nostri cugini d’oltr’Alpe fecero una clamorosa marcia indietro, così riprese quindi la via crucis.
La speranza era l’Europa. Possibile mai che non ci fosse nel nostro caro vecchio continente qualcuno disponibile a venire incontro ai guai dell’Alitalia che erano anche i guai dell’ Italia?
I giorni passavano e il bilancio diventava sempre più rosso. Fino a che non nacque l’Ita che almeno con il nome ricordava in parte i natali della nostra ex compagnia di bandiera.
Il battesimo avvenne nel mese di agosto del 2021, ma le operazioni di volo ebbero inizio poco più tardi, il 15 ottobre con un aereo che partiva da Milano per atterrare a Bari. Alla fine di quell’anno si piansero lacrime amare perché le perdite nette furono di 149 milioni di euro.
Lo Stato italiano era ancora presente con il ministero dell’economia e delle finanze, però le trattative per uno sponsor straniero non erano finite.
Ritiratasi la Francia, ecco apparire all’orizzonte un’altra azienda aerea di prestigio: la tedesca Ita (Alitalia)-Lufthansa, ombra sinistra di Air France: Parigi pesa a Bruxelles più dei tedeschi, l’Italia meno di zero, il dispetto della burocrazia europea che subito aumentò il capitale con un investimento di 350 milioni di euro in cambio del 41 per cento delle azioni.
Tutto sembrava andare per il verso giusto. L’attività aerea riprendeva fiato, l’affare poteva dirsi concluso.
All’apparenza, perché in questa occasione è stata la Francia a mettersi di traverso. Per quale misteriosa ragione? Forse, anzi probabilmente, per il semplice motivo che il patto italo-francese non era andato in porto. Invidia? Ritorsione per essere stati sconfitti?
Ufficialmente nessuno si esprime, bocche cucite, tutti dribblano il problema o si lasciano andare al solito “no comment”.
I rumors e le indiscrezioni sono di avviso diverso, tanto è vero che il placet europeo viene rimandato di altri tre mesi, novanta giorni che dovrebbero dimostrare che cosa?
La verità è che in Europa la voce della Francia si fa sentire. C’è chi dice (e forse non è lontano dal vero) che sono i nostri cugini transalpini a fare il bello e il cattivo tempo nel nostro vecchio continente.
Andare contro la Germania? Perchè no? Anzi una ragione in più per dimostrare che a tirare i fili dei “pupi” siano loro, i pupari della situazione. E che, alla luce dei fatti, è la Francia a “comandare”.
Insomma una questione di predominio, un modo come un altro per dire: “Badate che senza il nostro ok non si muove foglia in Europa”. Tutta questa “battaglia” ferisce (speriamo non a morte) l’Ialia e la sua vecchia cara compagnia di bandiera.
Perché se non andasse in porto nemmeno tale patto a farne definitivante le spese sarebbe quella che un tempo si chiamava Alitalia. Con altre sofferenze e altri patemi d’animo per coloro che ci lavorano riuscendo a mala pena a mantenere mogli e figli.
Bruno Tucci