Non ci sono più gli ospiti internazionali di una volta, certo, ma non è un segreto un certo perverso piacere nazionale di poterli trattare male, se è dal palco più popolare meglio. Sanremo è Sanremo e Hollywood non si sente molto più a suo agio. Di John Travolta sappiamo: la Febbre del sabato sera è più lontana di quella dell’oro nel Klondike, da decenni è costretto a ballare la qualunque in stile Vincent Vega, sempre e comunque. Anche il Ballo del qua qua, per non parlare di sospetti di product placement passato in cavalleria, omesse pecette sulle scarpe dello sponsor, cachet pesanti, liberatorie non firmate per la diffusione del materiale registrato ma non apprezzato…
“John, what the fuck!!”
L’ospite internazionale a questo punto ci piace trascinarlo giù dal pulpito, l’idolo nella polvere è il miglior bersaglio per tirar calci. Fiorello ammette disinvolto che la scenetta con Travolta era orrenda, il semiconduttore Amadeus dissente ma critica l’uomo Travolta, non l’attore: “Pensavamo meglio”. Quindi stoccata finale: al secondo ospite internazionale, Russell Crowe, l’onore del colpo di grazia nel siparietto con Teresa Mannino: “Travolta, what the fuck!” e intanto mima una “chicken dance”.
L’ex Gladiatore sciorina il repertorio solito, al suo via scateniamo l’inferno etc., quindi schitarrate rock con la sua band The Gentlemen Barbers, che esegue una non memorabile Let Your Light Shine. Unico guizzo originale del fu Hispanico, quando può bulleggiare Travolta, il cui unico interesse al momento sembra essere la guida del suo jet: dove qualcuno paghi per vederlo ballare un minuto, lui si ferma un paio d’ore, giusto il tempo di mettere la nafta all’aeroplano.