Non c’è davvero pace fra Fratelli d’Italia e Lega, più precisamente fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni: in pubblico abbracci, baci e sorrisi per nascondere il loro dissidio soprattutto dovuto al loro carattere. Che cosa è che non va? Quali sono i problemi li dividono?
E’ una questione di feeling che ha un nome ben preciso: Palazzo Chigi. Il leader del Carroccio sopporta questa situazione, ma non arretra di un passo quando si trova dinanzi alla sede del governo. E’ un traguardo che sogna da sempre, fin dai tempi del Papete: quella volta fu un disastro per colpa e per la fretta di volersi sedere su quella poltrona.
Oggi, guarda di sottecchi Giorgia, pubblicamente dice un gran bene di lei: lavoriamo in sintonia, insieme con Forza Italia siamo una squadra che vincerà le regionali e poi anche le europee, pure se ognuno andrà per conto proprio.
Mercoledì prossimo i tre saranno insieme a Cagliari per la chiusura della campagna elettorale in Sardegna. Convergono su un unico candidato: Paolo Truzzu che Giorgia Meloni ha voluto con forza.
Poi, una volta finita la festa, riprenderanno i distinguo, le liti sottobanco, i sotterfugi per vincere.
Oggi, il problema principale si chiama terzo mandato, cioè quella possibilità che viene data ai sindaci ed ai governatori di ripresentarsi e continuare il loro lavoro. La legge attuale dice di no, ma in politica tutto è possibile, in specie se si vogliono raggiungere certi traguardi.
La Lega non demorde, vuole capovolgere il sistema attuale per favorire i suoi uomini, prima fra tutti Luca Zaia, presidente del Veneto.
La Meloni nicchia, non dice un no secco, ma spera fortemente che ogni cosa rimanga al suo posto. Perché? Al premier non dispiacerebbe far sedere su quella poltrona un suo protetto, vincendo così una seconda battaglia dopo quella sarda.
Sarebbe troppo facile. Senonché Salvini ha al suo arco una freccia avvelenata che ha un nome su cui la Meloni non ha il minimo dubbio: il premierato, la madre di tutte le riforme.
Il presidente del consiglio aveva in animo una “rivoluzione” più pesante: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio con un premio di maggioranza del 55%, come la legge Acerbo che consacrò il ventennio di Mussolini.
In questo caso le opposizioni hanno alzato le barricate, sostenendo che così i poteri del Quirinale sarebbero stati quasi annientati.
“No” – rispondeva la destra – “non ci sarà nessuna diminutio”.
Alla fine, comunque Giorgia ha dovuto alzare bandiera bianca, arrendersi e dirottare sull’elezione diretta del presidente del consiglio che verrebbe eletto dal popolo e non dagli inciuci dei partiti fra le quattro mura dei Palazzi. In tal modo la stabilità della maggioranza sarebbe più solida e si darebbe la possibilità alla squadra di governare in pace per cinque anni, quelli della legislatura.
Su questo punto, né Meloni, né Fratelli d’Italia arretrano di un passo ed ecco che Salvini tira fuori dalla sua manica un asso che potrebbe sconvolgere i piani di Palazzo Chigi. Volete il premierato? Bene, chiediamo in cambio un deciso “si” al terzo mandato.
Non è una proposta ufficiale, uno scritto spedito a largo Chigi dal Carroccio, ma un patto nascosto che farebbe contenti i due partiti. La Meloni dovrà ingoiare questo ennesimo rospo o si impunterà al punto che la triade finirebbe di esistere?
No, non siamo ancora ai materassi, sul ring i due contendenti si studiano per capire le mosse dell’avversario, nascondono i loro jolly, mentre il Paese si aspetta che vengano risolti altri problemi, ben più di gravi di questo.
Probabilmente la controversia finirà con un patto fra gentiluomini: una cosa a me, l’altra a te. Però, attenzione: non si scherza con il fuoco: le fiamme potrebbero divampare all’improvviso e distruggere quel poco (o quel tanto) che la destra ha potuto raggiungere.
Se Schelin e Meloni stringono finalmente un patto per il cessate fuoco sulla striscia di Gaza, possibile che Giorgia e il suo alleato del Carroccio non possano trovare una intesa che renda più tranquillo l’iter del governo?